martedì 28 ottobre 2014

FUGA PER LA VITTORIA

C'è una vecchia storiella, spacciata per incredibile scoperta scientifica, che girava qualche anno fa. Il calabrone non potrebbe volare, dato che le sue ali sarebbero sproporzionate in confronto alla massa del suo corpo. Ma il calabrone questo non lo sa, quindi vola lo stesso.È una storia che forse avete già sentito più volte, una di quelle che leggi sulle scatole dei cereali o nelle pubblicità fin troppo scontate. Ma dopo l'ultima giornata di campionato, non ho potuto che pensarci. Perchè, nel freddo pomeriggio di ieri, un calabrone ha lasciato il segno.


Siamo al minuto 84 di Napoli – Verona, sul risultato di 4 a 2 per i partenopei. Un'autentica giostra di emozioni fin qui, con vantaggi, rimonte e controrimonte sul pazzo campo del San Paolo. Il Verona è proiettato in avanti; dopo aver passato quasi l'intero primo tempo in vantaggio, si trova a dover rincorrere. Il Napoli, dal canto suo, dopo aver rischiato più del dovuto (cosa che sta accadendo fin troppo spesso dalle parti di Fuorigrotta) abbassa notevolmente il baricentro, con i trequartisti sui blocchi di partenza pronti a proiettarsi in contropiede. Ed ecco che accade l'imprevedibile.


Una lunga manovra veronese viene interrotta da Raùl Albiol, centrale azzurro. Palla al piede, Albiol comincia a correre. E corre, lo spagnolo. Corre senza pensier, come direbbe un qualsiasi spettatore della serie TV del momento. Si avventura tra le maglie avversarie, mentre nessuno azzarda un intervento. Giunto a metà campo, vede il compagno Callejon proporsi in profondità, sulla destra. Lo serve, poi alza la testa. Qui, si accorge di avere una prateria dinnanzi a sé. E allora si scioglie in una fuga degna del miglior Marcelo. I difensori scaligeri stanno a guardare, loro che questo spilungone barbuto lo avevano incrociato solo per qualche calcio d'angolo, in area di rigore. Ora è fiondato ad alta velocità nella loro trequarti. Callejon chiude il triangolo, dopo che Albiol è giunto al limite dell'area avversaria. Palla filtrante. Un centrale ospite, vinto l'imbarazzo, decide di entrare su questo palo della luce in corsa, prima che sia troppo tardi. Ma Albiol non è deciso a fermarsi. Salta secco il malcapitato Moras, ed entra in area. Ai margini dell'area piccola, quasi inciampa sul pallone, sembra stia per cadere. Disorientato da questa che sembra una finta, l'unico difensore tra il nostro ed Higuain sbaglia totalmente il movimento. Ci siamo. Albiol la spinge in mezzo, El Pipita deve solo metterci un piede. Goal. Albiol non ha neanche la forza di festeggiare. Stremato, si stende a terra.


È evidente che, nell'arco di questa maratona verso l'area avversaria, Albiol si sia dimenticato di essere un difensore. Per meno di trenta secondi, ha semplicemente ignorato i suoi 190 centimetri di altezza e i suoi 82 chili di peso, proprio come il calabrone ignora di avere ali così piccole. Ha creduto di essere, per un attimo, un esterno scattante e leggero. E la sua falcata sgraziata lo ha portato all'altro capo del Mondo. Certo, ha lasciato una voragine alle sue spalle, e se avesse perso palla probabilmente Benitez sarebbe sceso in campo per divorarselo. Ma ha voluto dimenticarsi anche delle paure, Albiol, per mettere la firma nel successo dei suoi. C'è poco da fare; in un calcio sempre più dominato dagli schemi e dall'ordine, quando l'istinto ha la meglio sul rigore, sbocciano piccoli capolavori. Come il volo inarrestabile del calabrone Raùl.


lunedì 13 ottobre 2014

DEMENZA SENILE

È risaputo: quando si invecchia, si diventa più saggi. Tuttavia, giunti alla terza età, è anche vero che si torna un po' bambini. Non si ha più piena padronanza del proprio fisico (e dal fu pannolino si torna al pannolone); si diventa sempre più testardi, incapaci di accettare un punto di vista diverso dal proprio; la memoria si accorcia, si dimenticano i nomi e gli appuntamenti. E, spesso e volentieri, si perde la capacità di pesare le parole. Non si è più capaci di capire quali possano essere le conseguenze scatenate da ciò che diciamo. Un po' per ingenuità, un po' per non curanza, ci si lascia andare, e molto spesso si cade nella gaffe: giudizi troppo sinceri sul regalo poco gradito, pareri esageratamente schietti su cose e persone. Per carità, è qualcosa di naturale. Succede alla maggior parte degli anziani di perdere i peli sulla lingua proprio a questa età. 

È un problema però se, giunto a 71 anni, sei il presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio, e non sei comunque capace di pesare le tue parole.  

Carlo Tavecchio ha inaugurato la triste sagra del mediocre di quest'anno, con la sua bigotta uscita sui giocatori extracomunitari. L'ormai celebre Opti Pobà, ieri mangiabanane, oggi titolare in serie A, è il frutto bacato di una mentalità ottusa e superata. Non c'è poi così tanto da stupirsi, a dire il vero. Tavecchio, arzillo 71enne dalla mentalità da primo dopoguerra, non si è minimamente posto il problema di pensare alle conseguenze delle sue dichiarazioni. E questo semplicemente perché per lui quelle erano le cose più semplici e naturali da dire. Nei giorni seguenti ha provato a sentirsi innovativo, scegliendo Antonio Conte come nuovo CT e facendosi promotore della moviola in campo. Ma proprio pochi giorni dopo la sua lettera a Blatter, mirata ad offrire la serie A come cavia per la suddetta moviola, è arrivato il provvedimento della UEFA. Il delirio di inizio stagione non poteva passare impunito, e sono arrivati 6 mesi di inibizione dalle attività della federazione europea per il nostro Tavecchio. 

Ahinoi, è lui che rappresenta la risposta al bisogno di cambiamento in Italia oggi. Anni e anni di proclami caduti nel vuoto, stadi da rinnovare che cadono a pezzi, gioielli delle giovanili sedotti ed abbandonati dalle loro squadre che invece preferiscono investire sullo svincolato trentenne di turno. Questo immobilismo non poteva partorire presidente migliore di Tavecchio, una sintesi perfetta di incompetenza mista ad estrema cura dei propri interessi. La candidatura del Carlo nazionale era l'unica che garantisse che nulla potesse cambiare: la soluzione più comoda per tutti coloro che il calcio dovrebbero cambiarlo davvero. 

Per carità, non è certo Tavecchio la causa di tutti i mali. Ma è anche vero che, dopo 15 anni (!) di presidenza della Lega Nazionale Dilettanti, avrebbe potuto evitare di candidarsi ancora. E invece eccolo lì, a distruggere la reputazione sua e del calcio italiano a colpi di frasi deliranti. Avrebbe potuto regalarsi una tranquilla pensione. Purtroppo, però, sono sempre meno coloro che riescono a capire quando arrivi il momento di farsi da parte.