lunedì 13 ottobre 2014

DEMENZA SENILE

È risaputo: quando si invecchia, si diventa più saggi. Tuttavia, giunti alla terza età, è anche vero che si torna un po' bambini. Non si ha più piena padronanza del proprio fisico (e dal fu pannolino si torna al pannolone); si diventa sempre più testardi, incapaci di accettare un punto di vista diverso dal proprio; la memoria si accorcia, si dimenticano i nomi e gli appuntamenti. E, spesso e volentieri, si perde la capacità di pesare le parole. Non si è più capaci di capire quali possano essere le conseguenze scatenate da ciò che diciamo. Un po' per ingenuità, un po' per non curanza, ci si lascia andare, e molto spesso si cade nella gaffe: giudizi troppo sinceri sul regalo poco gradito, pareri esageratamente schietti su cose e persone. Per carità, è qualcosa di naturale. Succede alla maggior parte degli anziani di perdere i peli sulla lingua proprio a questa età. 

È un problema però se, giunto a 71 anni, sei il presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio, e non sei comunque capace di pesare le tue parole.  

Carlo Tavecchio ha inaugurato la triste sagra del mediocre di quest'anno, con la sua bigotta uscita sui giocatori extracomunitari. L'ormai celebre Opti Pobà, ieri mangiabanane, oggi titolare in serie A, è il frutto bacato di una mentalità ottusa e superata. Non c'è poi così tanto da stupirsi, a dire il vero. Tavecchio, arzillo 71enne dalla mentalità da primo dopoguerra, non si è minimamente posto il problema di pensare alle conseguenze delle sue dichiarazioni. E questo semplicemente perché per lui quelle erano le cose più semplici e naturali da dire. Nei giorni seguenti ha provato a sentirsi innovativo, scegliendo Antonio Conte come nuovo CT e facendosi promotore della moviola in campo. Ma proprio pochi giorni dopo la sua lettera a Blatter, mirata ad offrire la serie A come cavia per la suddetta moviola, è arrivato il provvedimento della UEFA. Il delirio di inizio stagione non poteva passare impunito, e sono arrivati 6 mesi di inibizione dalle attività della federazione europea per il nostro Tavecchio. 

Ahinoi, è lui che rappresenta la risposta al bisogno di cambiamento in Italia oggi. Anni e anni di proclami caduti nel vuoto, stadi da rinnovare che cadono a pezzi, gioielli delle giovanili sedotti ed abbandonati dalle loro squadre che invece preferiscono investire sullo svincolato trentenne di turno. Questo immobilismo non poteva partorire presidente migliore di Tavecchio, una sintesi perfetta di incompetenza mista ad estrema cura dei propri interessi. La candidatura del Carlo nazionale era l'unica che garantisse che nulla potesse cambiare: la soluzione più comoda per tutti coloro che il calcio dovrebbero cambiarlo davvero. 

Per carità, non è certo Tavecchio la causa di tutti i mali. Ma è anche vero che, dopo 15 anni (!) di presidenza della Lega Nazionale Dilettanti, avrebbe potuto evitare di candidarsi ancora. E invece eccolo lì, a distruggere la reputazione sua e del calcio italiano a colpi di frasi deliranti. Avrebbe potuto regalarsi una tranquilla pensione. Purtroppo, però, sono sempre meno coloro che riescono a capire quando arrivi il momento di farsi da parte. 


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