Una
formalità, ecco cosa sono queste partite. Sei scarico. Già hai
negli occhi il saluto ai tifosi per l'ultima in casa, tra meno di un
mese ormai, poi la cena di squadra, forse parlerai di rinnovo, quindi
le vacanze con tua moglie, magari in Sardegna, perché no. Sei
incanalato nella corsia del finale di stagione, superstrada ai cui
margini il paesaggio è piuttosto monotono. Non brullo, non arido, ma
sempre uguale. Tutto è avvolto da quel retrogusto amaro che sa
vagamente di malinconia. No, non ce la fai a vivere questo finale di
stagione con l'ansia di chi sa che il meglio deve ancora venire.
Perchè quello di questo Giugno sarà un altro Europeo che non
giocherai. Lo sai perfettamente. I casi sono due: o hai scelto il
ruolo sbagliato, o hai sbagliato paese natale. Per entrare tra i pali
azzurri c'è la fila da sempre. Da anni il numero uno, il campione
del Mondo, di farsi da parte non ne vuole proprio sapere. E come se
non bastasse, ogni anno sbuca un suo erede che ha almeno dieci anni
in meno di te. Pensi spesso a tutti quegli anni da titolare
nell'Under che ti avevano fatto ben sperare. Poi ti guardi intorno, e
sembra che tutti ti ignorino da tempo. Ci pensi e stai male.
Ora
ti stanno chiamando in causa, questa palla che sobbalza nel prato del
Franchi è proprio per te, ma in un contesto più ampio è vero: si
sono dimenticati delle tue parate, del tuo talento. Sarà stata una
questione di qualità? Eppure il tuo mestiere l'hai sempre fatto, e
bene. Mai una parola fuori posto, testa bassa e parare. Non vai in
disco la sera, non fai la vita mondana, non sei sociopatico e non hai
milioni di followers su Instagram. Sarà forse proprio per questo che
la gente ti ignora? Cosa sia andato storto, oramai non ricordi più
bene.
Questa
sfera te l'hanno passata, rotola veloce, non perfetta (il campo fa un
po' schifo), è tua, e la dovrai pur calciare. Non sarà certo questo
pallone a cambiare l'inesorabile flusso delle cose, ma tutto sommato
l'altra faccia della medaglia ti dice che stai bene. Del resto,
questo passaggio non è altro che un ennesimo segnale della fiducia
che la difesa ripone nei tuoi confronti. Nel suo piccolo è una
consolazione, l'aver sempre trovato un ambiente in cui essere visti
come un punto fermo, seppur lontano dalle luci della ribalta. Sì, un
punto fermo in un microcosmo di provincia, Bergamo prima e Reggio
Emilia poi. La palla è oramai di fronte a te, la vuoi calciare. Una
formalità. L'ennesima, da portiere pieno di esperienza di una
squadra così coriacea, che sta mettendo alle strette una grande. Una
formalità.
E
invece la palla l'hai goffamente accarezzata con l'interno, con
troppa sicumera. Scivola alle spalle. Nulla la fermerà nella sua
lenta ed inesorabile marcia verso la tua rete. Giri lo sguardo
dall'altra parte, come per evitare una scena di morte cruenta al
cinema. Come per distogliere l'attenzione da un amico che vomita,
perché al solo guardarlo salirebbe un conato anche a te. Come per
far finta che non stia realmente accadendo davanti ai tuoi occhi.
Mani tra i capelli. Fissi lo stupido cartellone della Tim, stampato
tutto storto solo per farlo sembrare dritto agli occhi delle
telecamere.
Una
formalità? O una questione di qualità? Non ricordi più bene.
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