lunedì 18 aprile 2016

ANDREA STA BENE, ANDREA STA MALE

Arriva un pallone. Sembra proprio diretto verso di te. Te lo passa un compagno. Ma non è una questione di qualità.

Una formalità, ecco cosa sono queste partite. Sei scarico. Già hai negli occhi il saluto ai tifosi per l'ultima in casa, tra meno di un mese ormai, poi la cena di squadra, forse parlerai di rinnovo, quindi le vacanze con tua moglie, magari in Sardegna, perché no. Sei incanalato nella corsia del finale di stagione, superstrada ai cui margini il paesaggio è piuttosto monotono. Non brullo, non arido, ma sempre uguale. Tutto è avvolto da quel retrogusto amaro che sa vagamente di malinconia. No, non ce la fai a vivere questo finale di stagione con l'ansia di chi sa che il meglio deve ancora venire. Perchè quello di questo Giugno sarà un altro Europeo che non giocherai. Lo sai perfettamente. I casi sono due: o hai scelto il ruolo sbagliato, o hai sbagliato paese natale. Per entrare tra i pali azzurri c'è la fila da sempre. Da anni il numero uno, il campione del Mondo, di farsi da parte non ne vuole proprio sapere. E come se non bastasse, ogni anno sbuca un suo erede che ha almeno dieci anni in meno di te. Pensi spesso a tutti quegli anni da titolare nell'Under che ti avevano fatto ben sperare. Poi ti guardi intorno, e sembra che tutti ti ignorino da tempo. Ci pensi e stai male.

Ora ti stanno chiamando in causa, questa palla che sobbalza nel prato del Franchi è proprio per te, ma in un contesto più ampio è vero: si sono dimenticati delle tue parate, del tuo talento. Sarà stata una questione di qualità? Eppure il tuo mestiere l'hai sempre fatto, e bene. Mai una parola fuori posto, testa bassa e parare. Non vai in disco la sera, non fai la vita mondana, non sei sociopatico e non hai milioni di followers su Instagram. Sarà forse proprio per questo che la gente ti ignora? Cosa sia andato storto, oramai non ricordi più bene.

Questa sfera te l'hanno passata, rotola veloce, non perfetta (il campo fa un po' schifo), è tua, e la dovrai pur calciare. Non sarà certo questo pallone a cambiare l'inesorabile flusso delle cose, ma tutto sommato l'altra faccia della medaglia ti dice che stai bene. Del resto, questo passaggio non è altro che un ennesimo segnale della fiducia che la difesa ripone nei tuoi confronti. Nel suo piccolo è una consolazione, l'aver sempre trovato un ambiente in cui essere visti come un punto fermo, seppur lontano dalle luci della ribalta. Sì, un punto fermo in un microcosmo di provincia, Bergamo prima e Reggio Emilia poi. La palla è oramai di fronte a te, la vuoi calciare. Una formalità. L'ennesima, da portiere pieno di esperienza di una squadra così coriacea, che sta mettendo alle strette una grande. Una formalità.

E invece la palla l'hai goffamente accarezzata con l'interno, con troppa sicumera. Scivola alle spalle. Nulla la fermerà nella sua lenta ed inesorabile marcia verso la tua rete. Giri lo sguardo dall'altra parte, come per evitare una scena di morte cruenta al cinema. Come per distogliere l'attenzione da un amico che vomita, perché al solo guardarlo salirebbe un conato anche a te. Come per far finta che non stia realmente accadendo davanti ai tuoi occhi. Mani tra i capelli. Fissi lo stupido cartellone della Tim, stampato tutto storto solo per farlo sembrare dritto agli occhi delle telecamere.

Una formalità? O una questione di qualità? Non ricordi più bene.


Francesco Grasso (liberi spunti da qui)

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