domenica 20 settembre 2015

DIECI COSE CHE NON SAPEVI SULL'AFC BOURNEMOUTH

Passano i weekend calcistici e il Bournemouth scrive sempre nuove pagine della sua storia ultracentenaria. Alla terza giornata, i primi tre punti di sempre in Premier League dei rossoneri, rimediati sul campo del ben più quotato West Ham grazie alla incredibile tripletta di Callum Wilson, la vera punta di diamante della rosa. Tempo altre due giornate ed ecco arrivare anche il primo successo casalingo, per di più maturato ai danni di una diretta concorrente per la salvezza, il Sunderland.
Questa squadra mi folgorò un anno fa, facendomi innamorare in una lontanasera d'Agosto oltremanica e coinvolgendomi nella sua cavalcata verso la Premier. Se non avete avuto la fortuna di seguire le avventure di Eddie Howe e i suoi ragazzi dall'inizio della favola, non temete: ecco per voi un ricco breviario di curiosità, notizie e un po' di storia delle Cherries.

  • Nasce come “Bournemouth and Boscome Athletic”, nome che rimane il più lungo di sempre della storia della Football League. Boscome è un sobborgo della città, dove vivevano i giovani che fondarono il club nel 1899.

  • I ragazzi avevano disperatamente bisogno di un campo da gioco dove potersi stabilire. Fu così che un generoso proprietario terriero, al secolo J.E. Cooper-Dean, concesse in affitto quella zona di terreno dove oggi sorge lo stadio (che se non fosse per motivi di sponsor si chiamerebbe ancora “Dean Court” in suo onore).
Il Dean Court, "in the dim and distant past"
  • Pare che nei possedimenti del facoltoso Mr. Dean crescessero molti ciliegi. Da qui il soprannome del neonato club del Dorset: The Cherries. I meno romantici attribuiscono il nickname ai colori sociali del club, che tuttavia non sono sempre stati il rosso e il nero.

  • In origine, infatti, la sua maglia era semplicemente rossa, accompagnata da pantaloncini e calzettoni bianchi. Quindi, a partire dalla stagione 1970/71 (foto a lato), ispirato dalla divisa del Milan, il Bournemouth introdusse la maglia rossonera. In più di centocinquant'anni di storia di calcio inglese, è la prima squadra a sfoggiare una maglia a strisce rossonere nella massima serie.

  • Sempre a proposito di maglie, il suo terzo completo per la stagione corrente è tutto rosa; è così che il Bournemouth ha voluto offrire il suo appoggio alla fondazione Breast Cancer Care, per la lotta contro il tumore al seno. Il 5% degli incassi maturati dalle vendite delle maglie saranno donati alla causa. La maglia è stata indossata per la prima volta in campionato alla quarta giornata, nella sconfitta sul campo del Norwich City.

  • L'ultima squadra inglese in cui il Pallone d'Oro George Best abbia giocato in carriera è stata proprio il Bournemouth; di ritorno dalla poco memorabile esperienza con l'Honk Hong Rangers, nella stagione 1982/83 scese in campo per cinque match in terza divisione con le Cherries. Purtroppo, a documentare gli ultimi scampoli di carriera del nordirlandese solo poche foto (come quella in basso) e uno spezzone di trenta secondi di una trasmissione televisiva del tempo.

  • Due grandissime icone del calcio inglese degli ultimi vent'anni hanno mosso i loro primi passi da professionisti nel Bournemouth. Rio Ferdinand giocò in rossonero nella seconda metà della stagione 1996/97, segnando un gol in dieci presenze; Jermain Defoe, da attaccante del Bournemouth, esplose nella stagione 2000/01 siglando 19 gol in 29 presenze. Entrambi arrivarono nel Dorset in prestito dal West Ham.

  • Prima della vittoria della Championsip dello scorso anno, l'unico acuto degno di nota della storia del Bournemouth è stato nel 1984, quando riuscì a battere niente popodimeno che il Manchester United in FA Cup: terzo turno eliminatorio, 2 a 0 il risultato finale. I giocatori in campo quel giorno contro i Red Devils ebbero un premio di 200 sterline, e la promessa di una vacanza pagata mai mantenuta. Sulla panchina dei rossoneri sedeva un giovane Harry Redknapp (che a Bournemouth ha comprato un'umile casetta da 4 miloni di sterline qualche mese fa).
Milton Graham, attaccante delle Cherries, segna il primo dei due gol contro lo United
  • Il Bournemouth è stato a dieci minuti dal fallimento. La stagione 2008/09 fu segnata dai problemi finanziari della società, che subì una penalizzazione di 17 (!) punti in classifica. Se fosse retrocesso, il club sarebbe scomparso. Penultimo in classifica a Gennaio, il Bournemouth si risollevò grazie all'arrivo in panchina di Eddie Howe. Un filotto di dieci vittorie di fila contribuì a risollevare le sorti della squadra. Poi l'ultima giornata contro il Grimsby Town, partita decisiva per la permanenza in League One e per la sopravvivenza del club, da vincere a tutti i costi. E il gol decisivo del capitano nonchè leggenda vivente, Steve Fletcher, poco prima del fischio finale. Emotional.

  • I bookmakers, a inizio stagione 2015/16, quotavano Callum Wilson (foto sotto) capocannoniere della Premier 66 sterline a una. Oggi è proprio top scorer della massima serie, a 5 reti. Se avete tempo per una schedina, fateci un pensierino...



Francesco Grasso

Fonti: FourFourTwo (September 2015 Issue); wikipedia.com; BBC.com; afcb.co.uk; historicalkits.co.uk

venerdì 28 agosto 2015

A QUANDO NORMALMARIO?

Balo is back. Anzi, forse basta usare il meno accattivante italiano, visto che questa operazione nostalgia sembra tutt'altro che pirotecnica. Mario è tornato. Chapeau a Galliani, che è riuscito a piazzare l'attaccante un anno fa, guadagnando 20 milioni, per poi riaverlo gratis. Ma l'ennesima nuova avventura di Mario non è ancora iniziata che tutti quanti (giornalisti, opinionisti, tifosi e semplici appassionati) stiamo commettendo lo stesso errore del passato.

Parliamo troppo di lui. Lo tiriamo in causa per il minimo colpo di tosse che rilascia ai microfoni dei giornalisti o per qualsiasi scatto pubblicato su Instagram, peraltro seguito da una didascalia random senza molto senso. L'ultima notiziona sul suo conto è diventata dominio pubblico pochi minuti dopo la firma del nuovo contratto: un elenco di dieci comandamenti che il calciatore ha promesso di seguire per tornare con i piedi per terra. L'elenco è stato riproposto su tutte le testate giornalistiche sportive, che non hanno perso l'occasione per dibattere ancora una volta sulla scarsa affidabilità del giocatore, sui suoi trascorsi burrascosi, e su cosa riuscirà a combinare al servizio del nuovo allenatore di turno. Segue a ruota post su Facebook dell'attaccante che si congeda dalla sua ex-squadra, inutilmente trito e ritrito dai giornalisti (?) che si domandano come mai abbia dato l'addio al Liverpool, seppur se ne sia andato con la formula del prestito secco. Come se non fosse chiaro che tra un anno la priorità del Liverpool sarà la stessa dell'ultimo mercato: liberarsi di lui.
Nihil novi sub sole, in definitiva: quando c'è di mezzo Balotelli, tutti peccano di scarsa originalità. A costo di scrivere cose scontate o davvero poco interessanti, si deve parlare di lui.

Ora, se desideriamo che Mario Balotelli torni normale ai nostri occhi, lo si deve trattare come un attaccante qualunque. Perchè Balotelli, un attaccante normale, lo è già. Basta solo convincersene. Nella scorsa stagione ha collezionato 28 presenze per un totale di 1503 minuti (circa 53 a partita) e ha segnato solo 4 gol. La statistica più alta riguarda i cartellini gialli (7). È fuori dal giro della nazionale da ormai un anno. Perchè dedicare così tanta attenzione ad un giocatore dal rendimento così mediocre?


Semplice: quando fa il misterioso, lo spaccone, il provocatore, quando insomma il giocatore Mario Balotelli veste i panni dell'icona SuperMario, tutti cadono nella tentazione di prendere troppo sul serio il suo gioco. La testa di Mario non la potrà cambiare mai nessuno, e per questo non si potrà mai spegnere il suo egocentrismo e la sua istintività. Ma si può cambiare il modo di accogliere i suoi atteggiamenti. Un pizzico di indifferenza in più può bastare. Che parli il campo quindi, sperando che Balotelli torni ad essere un vero attaccante.

Francesco Grasso



domenica 26 aprile 2015

AMORE CRIMINALE

(per motivi di privacy, il resoconto che segue non intende rivelare i nomi delle protagoniste)

A.S. è una grande sportiva. È di Varese. Non è molto giovane, ma le piace mettersi ancora in discussione. La sua vita, da dieci anni a questa parte, è stata un crescendo di soddisfazioni, sia in ambito lavorativo che in ambito sentimentale. Tanti sforzi ripagati da tante promozioni una dietro l'altra, guadagnate sul campo, con enormi sacrifici. Il suo compagno si è invaghito di lei proprio sul posto di lavoro. Non c'è mai stato bisogno di una vera dichiarazione d'amore tra i due. Si sono amati sin da subito, e una volta incontratisi non si sono lasciati mai più. Anche quando per lei si prospettavano dure trasferte di lavoro, lui era sempre al suo fianco. Ma quando le soddisfazioni degli anni passati insieme hanno cominciato a far posto a delusioni inaspettate, la relazione tra A.S. e il proprio partner si è irrimediabilmente incrinata. Dal settembre scorso, per lei incombe all'orizzonte il rischio di perdere il posto in ufficio. Del resto, è un lavoro terribilmente competitivo, il suo, dove non sempre chi dà il massimo riesce a farsi spazio. A.S. ne ha visti di colleghi, che hanno speso anni ed anni in uffici di provincia, senza mai riuscire a dare una svolta alla propria carriera. Senza mai riuscire a trovare un posto tra i veri “professionisti” del mestiere. E sono tante le donne passate per quelle scrivanie che, una volta licenziate, mai più sono riuscite a riconfermarsi agli stessi livelli. Il suo compagno, sulle prime, la assiste fedele. Poi, improvvisamente, la sua pazienza finisce, e il rapporto precipita. Lui diventa sempre più critico, sempre meno comprensivo. Come se i problemi a lavoro non bastassero, ecco che A.S. comincia ad avere anche carenza di soldi: tanti oneri sulle spalle, un lavoro sempre più avaro di soddisfazioni e un compagno che non la rispetta più. A.S. è in grosse difficoltà. Un ricco impresario, che ha a cuore la nostra protagonista, comincia ad avvicinarsi a lei. Vuole aiutarla. Le offre soldi, protezione, le promette tanto. Per A.S. è ormai l'ultima ancora di salvezza, e decide di affidarsi a quest'uomo dai contorni tuttavia poco chiari. Ma quando il compagno della donna viene a conoscenza di ciò, va su tutte le furie. E passa alle maniere forti. L'episodio risale allo scorso fine settimana. A.S. ha l'ennesimo faticoso turno di lavoro il sabato pomeriggio. Ma quel giorno a lavoro non ci andrà. La notte precedente, il suo compagno riesce ad entrare nel suo ufficio incustodito. E scatena l'inferno. Cosparge i muri e il pavimento di scritte inguriose. Ha con sé un piccone, e lo usa per colpire tutto ciò che ha a tiro. Arriva a distruggere una porta. L'indomani, A.S. è scioccata, così come tutti i suoi colleghi. E così come tutti coloro che amano il suo lavoro.
Colui che professava amore incondizionato per questa donna, è giunto ad umiliarla in un modo vergognoso. Fin troppo spesso, un meccanismo oscuro si innesca nella mente di chi ha ormai perso di vista il concetto autentico di amore e di fede. Chi arriva a tanto, non nutre più alcuna passione. Spinto da un irrefrenabile delirio di onnipotenza, crede che tutto gli sia dovuto, e ogni errore della propria amata è imperdonabile.


A.S. si aggiunge così alla lunga lista delle vittime dell' amore criminale. Lista che, purtroppo, è in costante aggiornamento. Nello stesso week-end, a Cagliari, un'altra donna (C.) ha denunciato un'aggressione verbale e fisica compiuta dal suo compagno. Sabato sera, C. era a casa sua, quando il suo partner, giunto ormai ai ferri corti con lei, le ha chiesto un confronto diretto. Un faccia a faccia. Scesa giù, la ragazza è stata oggetto di insulti, minacce e persino spinte. Come dimenticare i casi più clamorosi degli ultimi anni: C.F.C. , la ragazza di Genova che tre anni fa fu costretta a spogliarsi della maglia in pubblico, ancora una volta sotto minacce, assecondando il desiderio del proprio partner di umiliarla; A.S.G. , la giovane della provincia di Salerno che fu costretta a simulare un malore, per essere sospesa dal posto di lavoro. Una volta ricoverata, si scoprì che la ragazza era stata oggetto di pesanti pressioni da parte del proprio compagno affinché compisse questo gesto umiliante.

Alle donne vittime di queste violenze, ricordiamo: quando questa gentaglia qua arriva a tanto, significa una sola cosa. Non è amore.


 

P.S. Con le dovute proporzioni (lungi da me paragonare le terribili sofferenze di una donna vittima di un compagno violento alle stupide logiche di un gioco troppo preso sul serio), ma sono davvero tanto diversi tra loro un tifoso violento e un fidanzato violento?

sabato 14 marzo 2015

L'ENNESIMO PASTICCIO ALL'ITALIANA. PURTROPPO.

“ Sono tanti anni che sono nel calcio, non è una situazione incredibile. Se le società di calcio sono diventate società di capitale, come fallisce una società di capitale (e in Italia ne son fallite tante con la crisi) può succedere anche nel calcio. È incredibile che ci sia un megafono così forte per una cosa che, secondo me, nella società succede. Se una società viene gestita male fallisce. […] C'è un presidente che è andato via prima, ma sono delle cose che sono successe, però io non penso che se una società fallisce nella società normale le altre debbano farsene carico. ”
Maurizio Zamparini, presidente del Palermo, 06/03/15


Non si corra il rischio di considerare le dichiarazioni di Maurizio Zamparini, in merito al tristissimo caso Parma, come quelle di una voce isolata. È vero, la voce in questione è quella di un folkloristico presidente di serie A che, in passato, ci ha regalato perle ben più birllanti. Ma per come questa infelice vicenda si sia evoluta sino ad oggi, ci sono tutte le buone ragioni per supporre che buona parte dei presidenti e dirigenti di serie A la pensi proprio come Zamparini. Se davvero non fosse così, non si potrebbe spiegare come sia stato possibile arrivare ad una situazione così imbarazzante.

C'è un presidente che è andato via prima, ma sono delle cose che sono successe”. Sono successe, appunto. Ma queste “cose” non sarebbero mai dovute succedere. Di soldi, a Parma, non ce n'era abbondanza già da tanto tempo. L'esclusione dalla Europa League, maturata per aver pagato in ritardo l'Irpef al termine della scorsa stagione, era un valido allarme: quando una società di serie A (e neanche di bassa classifica) ha difficoltà nel pagare 300.000 euro, non si può far finta di nulla. E invece, al momento delle iscrizioni per la stagione in corso, nessuno ha voluto verificare la solidità delle casse dei Ducali. Un attegiamento così superficiale, a certi livelli, non dovrebbe esistere. Eppure, una squadra senza i bilanci a posto ha potuto iscriversi alla massima serie del nostro calcio. Le accuse di bancarotta fraudolenta mosse nei confronti dell'ormai ex presidente del Parma, Tommaso Ghirardi, chiudono il cerchio. Si parla di un buco di almeno 200 milioni di euro nel bilancio degli emiliani. Nulla di più palese: il Parma era una società che soffriva da tempo. Accumulava debiti su debiti, a causa di una gestione approssimativa. Ma è possibile che nessuno abbia mai voluto indagare sui conti parmensi? La risposta è sì. Del resto, “non è una situazione incredibile. Se una società viene gestita male, fallisce”. Di certo, la ricerca compulsiva di un capro espiatorio è già partita (Ghirardi? Manenti?), e tutti, dai tifosi ai giornali, saranno distratti per un po' dal bisogno di avere qualcuno contro cui puntare il dito.

Il vero scandalo sta nel semplice fatto che sia stata resa possibile la “cattiva gestione” di una società del calibro del Parma. E mi dispiace contraddire Zamparini, ma non è affatto normale che una squadra di massima serie debba vedersi pignorare furgoni e panchine, per di più a campionato in corso. Il fallimento di una società può essere considerato normale solo in un mercato senza regole. Nel nostro calcio, le regole ci sono. Ma nessuno si preoccupa che queste vengano rispettate, fino a quando non si giunge a situazioni irrimediabili. Cioè, fino a quando le regole stesse non siano state violate oltremodo. Se a qualcuno sembra strano che uno scandalo simile abbia avuto una tale risonanza (o un tale megafono, usando la poco chiara retorica zampariniana), allora questo qualcuno riterrà altrettanto strano che le regole di cui sopra debbano essere rispettate.

Una domanda sorge spontanea: quante altre squadre dovranno agonizzare così a lungo, prima che qualcuno si decida a far rispettare le regole una volta per tutte? Purtroppo, né Zamparini né nessun altro potranno risponderci con certezza.


lunedì 9 febbraio 2015

JUVE - MILAN, QUANTO È DIFFICILE PARLARE DI CALCIO


Juventus - Milan (per l'ennesima volta, verrebbe da dire) ha scatenato polemiche incandescenti. Gli scontri degli anni passati, però, avevano fatto gridare allo scandalo a causa di decisioni indiscutibilmente sbagliate. Per la partita di Sabato, invece, è tutta una questione di punti di vista. O forse, più semplicemente, questione di stile.

Riassunto delle puntate precedenti: il Milan va a Torino a far visita alla solita Juve assatanata, che riesce a bucare la rete degli avversari in avvio di gara. Ma il goal che apre le danze pare viziato da un leggero fuorigioco di Tevez. Analizzando il replay, si scopre che Zaccardo tiene in gioco l'Apache quel tanto che basta per reputare il goal regolare. La partita finisce 3 a 1 per gli uomini di Allegri. Il giorno seguente, il profilo Twitter ufficiale dell'A.C. Milan (e non quello di un forum di tifosi) scatena il putiferio con il famoso tweet sulle linee parallele, accendendo le polemiche di cui sopra.

Saper reagire ad una sconfitta non è mai facile. Soprattutto quando sei convinto di aver dato il massimo, cercando di giocare alla pari contro un avversario di un altro livello. Ma la frustrazione annebbia la mente, ed è in questi momenti che si cercano appigli e scusanti per giustificare una sconfitta che appare un furto a prescindere, come se aver dato il massimo non ammettesse la possibilità di perdere comunque. I vincitori, dal canto loro, potrebbero ignorare le accuse nate dalla rabbia degli sconfitti. Sarebbe un'occasione per confermare la propria superiorità di fronte a certe chiacchiere da bar (perché di questo si tratta). E invece non va mai così. Le accuse avanzate dagli sconfitti devono essere smentite. I vincitori devono difendere l'onore, e ribadiscono la loro integrità morale, non senza qualche stoccata polemica all'indirizzo degli avversari. Si apre così una vera e propria faida, in cui nessuna accusa e nessuna frecciatina può essere ignorata, una guerra a colpi di comunicati e post in cui l'ultima parola deve essere sempre la tua. Il risultato è inevitabile: tutta l'opinione pubblica deve schierarsi, o da una parte o dall'altra. E quella che dovrebbe essere una questione da aprire e chiudere nel week-end calcistico si protrae per settimane o mesi, fino a quando una nuova polemica, con nuovi protagonisti, attirerà l'attenzione dei media e dei tifosi. 

Questo, ahinoi, è un vizietto tutto italiano. Citando liberamente Churchill, amiamo parlare di calcio come se si parlasse di guerra. Perché i sentimenti e gli interessi in gioco sono troppo forti: la voglia di giustizia dei diretti interessati, il bisogno di qualcosa di cui parlare delle TV e dei giornali, o più semplicemente il bisogno di far parlare di sé. E poco importa se le linee non dovrebbero essere veramente parallele. E poco importa se è di cattivo gusto ostentare la propria vittoria prendendosi gioco dell'avversario. 
Ciò che conta è non rimanere in silenzio. 
 
A volte è meglio tacere e sembrare stupidi che aprir bocca e togliere ogni dubbio.
- Oscar Wilde -
 
Non discutere mai con un idiota: la gente potrebbe non notare la differenza.
- Arthur Bloch -