La pellicola è quasi ai titoli di coda. Siamo alla scena
madre. Gli ultimi minuti scivolano via. Lo scenario è uno di quelli che, almeno
una volta nella propria infanzia, ognuno di noi ha sognato ad occhi aperti. Una
finale della Coppa del Mondo, al Maracana. La squadra del nostro eroe è sotto
di un goal, forse dopo aver sprecato anche troppo. Ma adesso la palla è solo
per lui. Minuto 120. Un calcio di punizione, da distanza proibitiva per tutti.
Ma non per lui, Lionel, che punizioni così ne ha messe tante, facendoci
innamorare della sua classe. Trofei a non finire con il suo club, Palloni d’Oro
a cascate. Ma tutto ciò adesso non conta. Bisogna segnare, se si vuole entrare
nell’Olimpo degli Dèi del Pallone. La colonna sonora si fa incalzante, in un
crescendo il cui momento clou vuole
coincidere con la battuta di questa punizione. Lionel prende la sfera tra le
mani e la sistema sul punto di battuta. Attende che l’arbitro finisca il suo
graffiti con la schiuma. Prende una breve rincorsa, per poter battere. Quindi
alza lo sguardo.
E qui la musica si
ferma. Perché Lionel, all’improvviso, si rende conto di essere lontano.
Lontano dalla porta, che adesso sembra piccola e inviolabile
come non mai. Ma soprattutto, lontano dalla leggenda. “Sì, potrebbe segnare, ma
non è mica Maradona” questo è il pensiero di molti spettatori scettici. Altri,
invece, ci credono. Se è Lionel il protagonista, il regista non avrà certo deciso
di fargli perdere la più grande occasione della sua vita. Se questo è il suo
film, sarà questo il momento in cui sconfigge il male, tirando fuori i suoi
superpoteri e lasciando tutti a bocca aperta. Sarà adesso che scriverà la
storia, insaccando ancora una volta da venti metri, riaprendo la partita, portandola
ai rigori, e magari vincendola con il tiro dal dischetto decisivo battuto
proprio da lui. Sarà così che alzerà la Coppa tanto agognata. “E allora
osserviamo - si dicono gli intrepidi spettatori - che cosa inventerà la Pulce
questa volta”. Ma la verità è che Lionel non ci crede più. E il suo film non ha
un lieto fine. Questo gli spettatori non lo sanno. Non lo immaginano neanche.
Il loro idolo che si spegne di fronte all’ultimo ostacolo? Lui, che ha vinto l’inimmaginabile?
Impossibile.
E invece Lionel calcia la sfera, ma questa prende la
tangente della traiettoria desiderata, spegnendosi lontana. La osserva
schizzare via, accompagnata dal sospiro di sollievo di metà stadio. Voilà, come
dice lo spot di quella macchina francese. L’ultima occasione è andata via.
Lionel realizza subito che per lui questa finale è andata. Non ce l’ha fatta. Questo
calcio piazzato sbagliato è la metafora dell’intera finale di Messi. Per niente
decisivo. Eppure, aveva iniziato alla grande, questo Mondiale. Goal a raffica
alla fase a gironi. Splendida la perla al 93’ che aveva deciso la sfida con l’Iran.
Con tutte queste emozionanti prestazioni del protagonista, il sapiente regista
di questa pellicola aveva saputo catturare l’attenzione dei suoi spettatori:
occhio, che questo può essere davvero il suo Mondiale. E la gente ha iniziato a
crederci davvero. Ma il finale è stato dei più anonimi. Una finale, per carità,
giocata contro una squadra terribilmente forte. Ma è chiaro che Messi abbia
toppato. Tanta, troppa paura di sbagliare.
E ora che la palla è volata via, il regista ci regala un ultimo
primo piano. Lionel guarda il cielo, con un sorriso beffardo, forse chiedendosi
se mai riuscirà ad arrivare sul tetto del Mondo.
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