mercoledì 25 giugno 2014

I PERCHÈ DI UNA SCONFITTA

Per la seconda volta consecutiva siamo fuori dal Mondiale. La sconfitta con l'Uruguay lascia davvero grande rammarico, per una Nazionale che aveva iniziato nel migliore dei modi il suo cammino in Brasile. È stato un insieme di fattori a determinare la sconfitta degli Azzurri, che ha avuto come conseguenza immediata le dimissioni del CT Prandelli e del presidente della FIGC Abete.

Eppure, l'Italia non aveva sbagliato approccio alla gara, ieri a Natal. La squadra è partita con un baricentro basso, cercando di anticipare subito le punte della Celeste su ogni suggerimento rasoterra. La manovra offensiva poggiava sulle spalle di Immobile e Balotelli; i due cercavano di dialogare con quei (pochi) palloni che giungevano dalle loro parti. È stata infatti il lancio lungo la nostra arma principale dei primi 20 minuti. Ma, un po' per gli anticipi dei centrali difensivi avversari, un po' per l'imprecisione nel primo controllo, il tandem d'attacco non ha prodotto granchè. Supermario, nei 45 minuti a sua disposizione, ha compiuto in parte il suo dovere. Bravo a difendere palla e a far risalire la squadra in un paio di circostanze, non è riuscito a mantenere la lucidità necessaria per finalizzare le poche azioni d'attacco capitate tra i suoi piedi. Come se non bastasse, il giallo al 22' ha compromesso la sua partita: un Balotelli ammonito così presto non può rimanere a lungo in campo. Nel secondo tempo, la musica era sul punto di cambiare. L'innesto di Parolo garantiva un minimo di continuità tra centrocampo ed attacco, con Immobile che, rimasto unica punta, aveva più campo per muoversi in profondità. Tutto questo fino al 59', quando l'arbitro Rodriguez estrae un rosso generoso ai danni di Marchisio, entrato a protezione della palla su Arevalo Rios. In dieci, la partità si è inevitabilmente trasformata in un assedio dell'Uruguay nella metà campo tricolore. Con l'uomo in meno, l'Italia ha giocato come avrebbe dovuto giocare: difesa ordinata e ripartenze veloci ad innescare Immobile. Sia lui che Verratti, però, hanno dovuto lasciare il campo prima del fischio finale per guai fisici. Dopo che l'Urugay aveva anche sfiorato il vantaggio con un tiro di prima intenzione di Suarez deviato da un intervento straordinario di Buffon, l'epilogo tragico è giunto a nove minuti dalla fine, proprio quando sembrava che gli Azzurri fossero riusciti nell'impresa di strappare il biglietto per gli ottavi. Su calcio d'angolo, il solito Godin insacca di testa (terzo gol in tre partite decisive per lui, dopo la zuccata a Barcellona che è valsa la Liga e il gollonzo in finale di Champions che ha illuso i suoi Colchoneros) e la difesa nulla può. Negli ultimi minuti di gioco, l'Italia cerca di buttare il cuore oltre l'ostacolo, ma c'è solo tanta buona volontà e pochissima forza in corpo. 

È un'eliminazione strana, quella scaturita ieri. Molti parlano di fallimento, ma a dire il vero la nostra eliminazione è in parte giustificabile. In un girone di ferro come il nostro, il passaggio del turno non era così scontato. L'exploit del Costarica ha scombinato le carte in tavola, riservando un solo posto agli ottavi per Uruguay, Inghilterra e Italia. Arrivati con soli tre punti all'appuntamento di ieri, il match si è trasformato in uno spareggio da dentro o fuori, che gli uomini di Prandelli non avrebbero mai immaginato di dover giocare dopo la strabiliante prova di Manaus. Ed era proprio lo spirito a non essere quello giusto. Dopo aver perso con il Costarica, la Nazionale ha perso fiducia nei propri mezzi proprio nel momento in cui, battendo l'Inghilterra, era l'Uruguay ad acquistare sicurezza. A risentire di più di questo momento negativo sono stati proprio Immobile e Balotelli. Quest'ultimo sentiva forte la responsabilità di aver sbagliato troppo contro il Costarica, mentre il suo compagno di reparto era in panchina, in attesa del suo momento. Momento che è arrivato nelle circostanze sbagliate. Sarà stato anche capocannoniere, ma per Immobile quella di ieri era la vera prima partita da dentro o fuori in una competizione che conta, e in circostanze simili non si può giocare serenamente. Ci si aspettava sicuramente di più da parte loro e dei tanti giocatori di qualità su cui Prandelli aveva puntato. I veterani del gruppo, a fine partita, hanno reso chiaro il loro disappunto verso le giovani leve che hanno disatteso le aspettative. Tra tutti i giovani scesi in campo in queste tre partite di Mondiale, l'unico a non risentire della pressione è stato (guardacaso) Marco Verratti, che pur essendo più giovane di Immobile, ha già giocato 17 partite in Champions League con il suo PSG. Chissà se, prima o poi, anche le squadre italiane inizieranno a credere nei giovani, per farli diventare campioni di spessore una volta per tutte, evitando che questi arrivino ai momenti decisivi ancora impreparati. Speranza vana, forse.

E quindi la domanda sorge spontanea: da dove ripartire? O meglio: da chi? In quanto a "materiale umano", non c'è da essere pessimisti: le risorse non mancano. Per il successore di Prandelli, i nomi che si alterneranno in questi giorni saranno tanti. La speranza è che, chiunque egli sia, il prossimo CT focalizzi bene chi siano i giocatori da cui ripartire, infondendo stimoli nuovi ai reduci di questa spedizione sfortunata e, perchè no, diffidando di color che non hanno convinto.




P.S.
R.I.P. Ciro

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