venerdì 26 dicembre 2014

LETTERINA DI NATALE

Cari Italiani,
sono Babbo Natale. So che una lettera da Babbo Natale non é proprio la prima cosa che ci si possa aspettare il giorno di Natale. Del resto, il mio compito é solo quello di soddisfare i vostri desideri, non sono certo tenuto a rispondere a tutte le vostre missive. Ma quest'anno ho ricevuto richieste balorde che non ho potuto soddisfare. E sono stati esponenti illustri del vostro calcio ad indirizzarmele. Premetto che seguo i vostri campionati, sono un gran tifoso della Bari avendo un legame speciale con la città (il mio nome originale, Nicola, e il mio vestito biancorosso sono due indizi che fanno una prova). E da appassionato quale sono, ho a cuore il vostro pallone. Proprio perché ci tengo davvero, ho sentito il bisogno di dover rivolgere due parole a coloro che mi hanno scritto.


Cari Garcia ed Allegri, mi avete chiesto entrambi lo scudetto. In questi casi, tra i due litiganti sarebbe il terzo a godere. Ma di terzi, a quanto pare, non ce ne sono. Salomonicamente, lascio a voi due il compito di mettervi d'accordo.


Caro Antonio Conte, mi dispiace ma non posso esserti d'aiuto. I miei elfi hanno trattato ad oltranza con la Lega Calcio, ma non sono riusciti ad ottenere i tanto ambiti stage per la tua Nazionale. Mi duole dirtelo, ma se non li hanno concessi a Babbo Natale, sei senza speranza.


Cara Lega Calcio, per voi invece il NO é categorico: una museruola per Conte non ve la posso dare, verrei denunciato per associazione a delinquere.


Caro Mario Balotelli, anche per te non c'è molto da fare. Posso portarti delle scarpe progettate con l'ausilio delle tecnologie più avanzate o, se preferisci, posso fornirti una scorta annuale di gel per la tua cresta. Ma i goal, mio caro, non posso regalarteli io. Per quelli, devi riuscire a sfruttare tutto quel talento che qualcuno mooolto piú importante di me ha già provveduto a donarti.


Cari presidenti di serie A, i vostri desideri, ad essere sincero, mi fanno sorridere. Le vostre politiche sfacciatamente devote al guadagno hanno allontanato famiglie ed appassionati dai vostri impianti, e voi per Natale mi chiedete stadi più pieni? Se organizzate una Supercoppa a migliaia di chilometri lontano dall'Italia, forse degli stadi pieni non ve ne frega poi così tanto. Più che un regalo, vi porto un consiglio: siate meno ipocriti.



Per chiudere, una nota positiva. Cari tifosi, state tranquilli. Ho raccolto meticolosamente tutte le vostre richieste per questo calciomercato di Gennaio. Ho attivato il mio gruppo di procuratori che aiuteranno le società durante le trattative. E risultati non tarderanno ad arrivare. Se Torres se n'è andato, é solo grazie a me. Sono stati i Milanisti a chiedermi in migliaia di portarlo via, e non potevo rimanere  insensibile.


Non mi resta che augurare una stagione ricca di soddisfazioni a tutti gli appassionati dello stivale.


Buone feste (e forza Bari),
Il vostro Babbo Natale







mercoledì 24 dicembre 2014

RIMPIANGEREMO MAI IL CALCIO SPEZZATINO?

Michele da un'occhiata al calendario. Mercoledì. Ripassa a mente il programma per questa giornata di campionato. Lunedì c'era il Milan, ieri il Napoli a Bergamo, oggi Chievo-Toro e Palermo-Bari. Nulla di entusiasmante per lui, tifosissimo del Sassuolo. I suoi ragazzi giocano domani alle 7 (e dovrá staccare dall'ufficio prima del solito). Domani sera alle 9 c'è il Parma. Venerdì l'Inter fa visita al neopromosso Frosinone. Sabato, sempre di sera, Fiorentina-Lazio. Domenica, infine, un tristissimo lunch match (Hellas-Bologna a porte chiuse) e l'attesissimo scontro diretto delle 15: Roma e Juventus si contendono il primato, e Michele sa già che lo spettacolo é assicurato. Sempre la stessa storia da quindici anni a questa parte, solo Roma e Juve. Quando Michele andava ancora al liceo, e il suo Sassuolo era appena salito in serie A per la prima volta nella sua storia, giallorossi e bianconeri si contendevano il tricolore in quello che era un duello inedito. Quella stagione 2013/14 sembra lontana ere geologiche.


Michele é un sentimentalista, e ancora conserva vivido il ricordo di cosa fosse il campionato in quegli anni. La serie A era ancora in formato spezzatino: partite concentrate in tre, massimo quattro giorni. C'era ancora la strana abitudine di far giocare più partite contemporaneamente. Un'idea così stupida, a pensarci oggi. Perché giocare più partite nello stesso giorno, e per di più alla stessa ora? E soprattutto, perché solo nel fine settimana? Perché costringere i tifosi a perdersi altre partite, quando hai sette giorni a disposizione per giocarle tutte? Fu così che, nell'anno in cui Michele si laureava, la Lega Calcio ebbe l'intuizione. Dallo spezzatino si é passati alle noccioline: una, massimo due partite al giorno, per tutta la settimana. Con un sofisticato sistema di orari e giorni di pausa, ogni squadra può riposarsi sufficientemente. Nelle settimane delle coppe europee, si osservano dei giorni di pausa in più, giusto per consentire alle squadre impegnate in Champions e in Europa League di rifiatare. E così non passa giorno che in TV non ci sia una sfida di serie A. Non passa giorno che non ci sia pallone nel piccolo schermo.


A Michele tutto questo piace. Lui, appassionato di calcio sin da bambino, non aspettava altro. Certe volte, quasi per scherzo, prova a cercare qualcos altro da seguire in TV, ma si imbatte in scialbi talk politici e film strappalacrime. Nulla che possa attirare la sua attenzione più di un match della A. E anche questa sera, Michele vedrà del pallone. Seduto sul divano, per un attimo, lo assale un dubbio. A volte teme di essere ossessionato dalla paura di perdersi un goal, una punizione o una giocata da replay. Teme di aver sviluppato una dipendenza da calcio. Ma poi smette di farsi stupide domande e accende il decoder, che un'altra partita sta per cominciare.

martedì 28 ottobre 2014

FUGA PER LA VITTORIA

C'è una vecchia storiella, spacciata per incredibile scoperta scientifica, che girava qualche anno fa. Il calabrone non potrebbe volare, dato che le sue ali sarebbero sproporzionate in confronto alla massa del suo corpo. Ma il calabrone questo non lo sa, quindi vola lo stesso.È una storia che forse avete già sentito più volte, una di quelle che leggi sulle scatole dei cereali o nelle pubblicità fin troppo scontate. Ma dopo l'ultima giornata di campionato, non ho potuto che pensarci. Perchè, nel freddo pomeriggio di ieri, un calabrone ha lasciato il segno.


Siamo al minuto 84 di Napoli – Verona, sul risultato di 4 a 2 per i partenopei. Un'autentica giostra di emozioni fin qui, con vantaggi, rimonte e controrimonte sul pazzo campo del San Paolo. Il Verona è proiettato in avanti; dopo aver passato quasi l'intero primo tempo in vantaggio, si trova a dover rincorrere. Il Napoli, dal canto suo, dopo aver rischiato più del dovuto (cosa che sta accadendo fin troppo spesso dalle parti di Fuorigrotta) abbassa notevolmente il baricentro, con i trequartisti sui blocchi di partenza pronti a proiettarsi in contropiede. Ed ecco che accade l'imprevedibile.


Una lunga manovra veronese viene interrotta da Raùl Albiol, centrale azzurro. Palla al piede, Albiol comincia a correre. E corre, lo spagnolo. Corre senza pensier, come direbbe un qualsiasi spettatore della serie TV del momento. Si avventura tra le maglie avversarie, mentre nessuno azzarda un intervento. Giunto a metà campo, vede il compagno Callejon proporsi in profondità, sulla destra. Lo serve, poi alza la testa. Qui, si accorge di avere una prateria dinnanzi a sé. E allora si scioglie in una fuga degna del miglior Marcelo. I difensori scaligeri stanno a guardare, loro che questo spilungone barbuto lo avevano incrociato solo per qualche calcio d'angolo, in area di rigore. Ora è fiondato ad alta velocità nella loro trequarti. Callejon chiude il triangolo, dopo che Albiol è giunto al limite dell'area avversaria. Palla filtrante. Un centrale ospite, vinto l'imbarazzo, decide di entrare su questo palo della luce in corsa, prima che sia troppo tardi. Ma Albiol non è deciso a fermarsi. Salta secco il malcapitato Moras, ed entra in area. Ai margini dell'area piccola, quasi inciampa sul pallone, sembra stia per cadere. Disorientato da questa che sembra una finta, l'unico difensore tra il nostro ed Higuain sbaglia totalmente il movimento. Ci siamo. Albiol la spinge in mezzo, El Pipita deve solo metterci un piede. Goal. Albiol non ha neanche la forza di festeggiare. Stremato, si stende a terra.


È evidente che, nell'arco di questa maratona verso l'area avversaria, Albiol si sia dimenticato di essere un difensore. Per meno di trenta secondi, ha semplicemente ignorato i suoi 190 centimetri di altezza e i suoi 82 chili di peso, proprio come il calabrone ignora di avere ali così piccole. Ha creduto di essere, per un attimo, un esterno scattante e leggero. E la sua falcata sgraziata lo ha portato all'altro capo del Mondo. Certo, ha lasciato una voragine alle sue spalle, e se avesse perso palla probabilmente Benitez sarebbe sceso in campo per divorarselo. Ma ha voluto dimenticarsi anche delle paure, Albiol, per mettere la firma nel successo dei suoi. C'è poco da fare; in un calcio sempre più dominato dagli schemi e dall'ordine, quando l'istinto ha la meglio sul rigore, sbocciano piccoli capolavori. Come il volo inarrestabile del calabrone Raùl.


lunedì 13 ottobre 2014

DEMENZA SENILE

È risaputo: quando si invecchia, si diventa più saggi. Tuttavia, giunti alla terza età, è anche vero che si torna un po' bambini. Non si ha più piena padronanza del proprio fisico (e dal fu pannolino si torna al pannolone); si diventa sempre più testardi, incapaci di accettare un punto di vista diverso dal proprio; la memoria si accorcia, si dimenticano i nomi e gli appuntamenti. E, spesso e volentieri, si perde la capacità di pesare le parole. Non si è più capaci di capire quali possano essere le conseguenze scatenate da ciò che diciamo. Un po' per ingenuità, un po' per non curanza, ci si lascia andare, e molto spesso si cade nella gaffe: giudizi troppo sinceri sul regalo poco gradito, pareri esageratamente schietti su cose e persone. Per carità, è qualcosa di naturale. Succede alla maggior parte degli anziani di perdere i peli sulla lingua proprio a questa età. 

È un problema però se, giunto a 71 anni, sei il presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio, e non sei comunque capace di pesare le tue parole.  

Carlo Tavecchio ha inaugurato la triste sagra del mediocre di quest'anno, con la sua bigotta uscita sui giocatori extracomunitari. L'ormai celebre Opti Pobà, ieri mangiabanane, oggi titolare in serie A, è il frutto bacato di una mentalità ottusa e superata. Non c'è poi così tanto da stupirsi, a dire il vero. Tavecchio, arzillo 71enne dalla mentalità da primo dopoguerra, non si è minimamente posto il problema di pensare alle conseguenze delle sue dichiarazioni. E questo semplicemente perché per lui quelle erano le cose più semplici e naturali da dire. Nei giorni seguenti ha provato a sentirsi innovativo, scegliendo Antonio Conte come nuovo CT e facendosi promotore della moviola in campo. Ma proprio pochi giorni dopo la sua lettera a Blatter, mirata ad offrire la serie A come cavia per la suddetta moviola, è arrivato il provvedimento della UEFA. Il delirio di inizio stagione non poteva passare impunito, e sono arrivati 6 mesi di inibizione dalle attività della federazione europea per il nostro Tavecchio. 

Ahinoi, è lui che rappresenta la risposta al bisogno di cambiamento in Italia oggi. Anni e anni di proclami caduti nel vuoto, stadi da rinnovare che cadono a pezzi, gioielli delle giovanili sedotti ed abbandonati dalle loro squadre che invece preferiscono investire sullo svincolato trentenne di turno. Questo immobilismo non poteva partorire presidente migliore di Tavecchio, una sintesi perfetta di incompetenza mista ad estrema cura dei propri interessi. La candidatura del Carlo nazionale era l'unica che garantisse che nulla potesse cambiare: la soluzione più comoda per tutti coloro che il calcio dovrebbero cambiarlo davvero. 

Per carità, non è certo Tavecchio la causa di tutti i mali. Ma è anche vero che, dopo 15 anni (!) di presidenza della Lega Nazionale Dilettanti, avrebbe potuto evitare di candidarsi ancora. E invece eccolo lì, a distruggere la reputazione sua e del calcio italiano a colpi di frasi deliranti. Avrebbe potuto regalarsi una tranquilla pensione. Purtroppo, però, sono sempre meno coloro che riescono a capire quando arrivi il momento di farsi da parte. 


venerdì 19 settembre 2014

LET'S GO CHERRIES!

Lontano da Tavecchio e dalle relative banane, lontano dalle inutili chiacchiere da bar sul Balotelli di turno, non c'era niente di meglio che seguire l'inizio di questa stagione calcistica lontano dall'Italia. Ho speso l'ultimo mese delle mie vacanze a Bournemouth, ridente città del Dorset (sud dell'Inghilterra), ospite di una famiglia del posto. Principalmente giunto qui per una vacanza studio, mi sono ben presto innamorato delle ciliegie. E se parli di Ciliegie a Bournemouth o, per essere più precisi, di "Cherries", non stai parlando di frutta. "Ciliegie" è infatti il soprannome dei giocatori dell' AFC Bournemouth, la squadra locale militante in Championship (seconda divisione nazionale).

L'undici del Bournemouth prima del fischio d'inizio di un match

Prima di raccontarvi la mia storia, è doverosa una premessa su questa compagine tutt'altro che blasonata. Colori sociali rosso e nero, l'AFC Bournemouth è stata per anni una squadra da League One (terza divisione). Anni e anni spesi a vagare tra i piani alti e la zona retrocessione, una buia parentesi in League Two a cavallo tra gli anni '70 e '80. Poi arriva in panchina Harry Redknapp, non uno qualunque, e le Ciliegie iniziano a sognare. Nel 1987 si sale per la prima volta nella storia in Championship, e si sfiora la zona play-off per salire in Premier. Poi arriva il 5 Maggio 1990, e il Leeds si laurea primo in classifica all'ultima giornata, vincendo di misura in casa del Bournemouth, che a causa di questa sconfitta è invece condannato alla retrocessione. Da quel momento in poi, la Championship tornerà solo nel 2013, con la promozione targata Eddie Howe, l'attuale allenatore dei rossoneri. E nella stagione 2013/14, al ritorno dopo quasi vent'anni in seconda serie, le Ciliegie chiudono al decimo posto, andando oltre ogni più rosea aspettativa. Inutile dirlo, oggi la Bournemouth calcistica sogna. Del resto, sette anni dopo aver conquistato la salvezza in League Two nonostante 17 punti di penalità (stagione 2008/09), ospitare il Liverpool in casa non aiuta a mantere i piedi per terra. Un mese mi è bastato per rendermi conto di quanto l'euforia attorno a questa squadra sia a mille.

E ovviamente, non potevo farmi sfuggire l'occasione per ammirare le Ciliegie dal vivo.


Il Dean Court (oggi Goldsands Stadium per motivi di sponsor)

Al mio arrivo a Bournemouth, una più che lieta sorpresa: la famiglia che mi ospita vive ad un minuto a piedi dal Dean Court, lo stadio di casa delle Ciliegie. Se, prima di partire, andare a vedere una partita del Bournemouth era solo un'idea campata in aria, adesso diventa una forte tentazione. Insieme ad altri drogati di calcio partiti con me, decidiamo di andare a comprare i biglietti per la terza giornata di campionato. Il match contro il Nottingham Forest è in programma giusto il giorno dopo il nostro arrivo, di Martedì. I nostri entusiasmi si stroncano in biglietteria, quando scopriamo che i biglietti sono finiti. Sold out per un turno infrasettimanale, per di più di inizio campionato. Insolito, ad essere sinceri. Tutto acquista un senso quando scopro che il Bournemouth è a punteggio pieno dopo due giornate di Championship, con tanto di vittoria fuori casa per 4 a 0 all'esordio. Euforia alle stelle e, ovviamente, biglietti polverizzati in poche ore. Il calendario del campionato non è clemente, e la successiva partita in casa si gioca proprio il giorno del nostro ritorno in Italia. 


Tuttavia, c'è un'ultima chance per vedere le Ciliegie all'opera. Il martedì seguente, va di scena il secondo turno eliminatorio di Capital One Cup, contro il Northampton Town. Non posso perdere quest'ultima opportunità, e il pomeriggio seguente si torna in biglietteria. È da questo momento in poi che mi rendo conto di quanto sia tutto sia più semplice, qui in Inghilterra. Tanto per cominciare, i biglietti non sono nominali. Ne compro tranquillamente quattro, per i miei amici con i loro soldi, senza che mi venga richiesto alcun documento d'identità. Inoltre, essendo studenti, abbiamo diritto ad un notevole sconto. Così, tre minuti dopo il mio ingresso in biglietteria, ho già in mano i tagliandi per il match; qualcosa di molto diverso dalle lunghe attese italiane, ripiene di inutile burocrazia e di controlli fini a sè stessi. Il giorno della partita, arriviamo allo stadio tragicamente a ridosso del calcio d'inizio (circa un quarto d'ora prima del kickoff). Ciononostante, raggiungere il nostro settore è molto semplice; neanche l'ombra di una fila all'ingresso. Prima di entrare, incrociamo uno steward (uno delle migliaia di steward sparsi dentro e fuori lo stadio), e la sua domanda mi sorprende: "siete tifosi di casa o siete tifosi ospiti?". In Italia, i tifosi delle opposte fazioni hanno ingressi diversi e la Polizia fa di tutto purchè non entrino mai in contatto. Qui, i tifosi delle due squadre possono andare allo stadio tranquillamente insieme. Superato il tornello, siamo finalmente dentro. Il terreno di gioco si presenta ai nostri occhi in tutto il suo splendore. Così verde, così vicino. Preso posto in tribuna (tutti i posti numerati rispettati con precisione) ancora una novità: il settore ospiti è proprio nella nostra tribuna, nella zona sinistra. A dividerci dai tifosi di Northampton, una decina di file di seggiolini vuote presidiate dagli steward. Due tifoserie di due squadre diverse a pochi metri di distanza, senza alcuna barriera architettonica: semplicemente utopia per gli stadi italiani. Acquistato l'immancabile match programme, non ci resta che godere dello spettacolo. L'atmosfera è fantastica; un clima di festa, reso tale anche grazie all'accesa curva di casa.
 Il risultato finale è un sonoro 3 a 0 a favore del Bournemouth, che ha costantemente bombardato la porta avversaria, lasciando poco spazio alle iniziative altrui. Dopo il fischio finale, sosta d'obbligo nello store ufficiale del club, parte integrante della struttura dello stadio. All'interno, tra gli articoli in vendita, fa bella mostra la bacheca dei trofei delle Ciliegie. Le coppe, quindi, non sono abbandonate nella polvere di chissà quale sperduto ufficio societario, ma poste il più vicino possibile ai tifosi. Anche da queste piccole cose si coglie il rispetto di un club verso i suoi fedeli.

Talmente tanti steward che invadono i selfie...

Finita la serata, torno a casa, stregato dall'aria respirata al Dean Court. Ciò che non sarò in grado di dimenticare è un'immagine nitida come una cartolina, che da un senso a questa meraviglia che è il calcio inglese: padri bardati di rossonero che portano i propri figli allo stadio, anch'essi fieramente vestiti dei colori della loro squadra del cuore. Quegli stessi padri hanno vissuto sulla loro pelle, da giovani, i terribili anni dello strapotere degli Hooligans. Hanno vissuto lo shock delle tragedie dell'Heysel e di Hillsborough, consapevoli che quelle stragi erano frutto di un cancro della loro stessa società. E hanno capito che le cose dovevano cambiare per il bene dei loro figli
, al più presto. Le cose sono cambiate, e proprio quei figli, oggi, non sospettano minimamente che lo stadio possa essere un posto pericoloso. Sanno che lo stadio altro non è che un posto dove ci si diverte in compagnia, all'insegna dello sport, perchè per loro è sempre stato così. 
Per loro, l'unica cosa che conta è che le loro Cherries vincano la prossima partita.

lunedì 14 luglio 2014

UN FILM SENZA LIETO FINE

La pellicola è quasi ai titoli di coda. Siamo alla scena madre. Gli ultimi minuti scivolano via. Lo scenario è uno di quelli che, almeno una volta nella propria infanzia, ognuno di noi ha sognato ad occhi aperti. Una finale della Coppa del Mondo, al Maracana. La squadra del nostro eroe è sotto di un goal, forse dopo aver sprecato anche troppo. Ma adesso la palla è solo per lui. Minuto 120. Un calcio di punizione, da distanza proibitiva per tutti. Ma non per lui, Lionel, che punizioni così ne ha messe tante, facendoci innamorare della sua classe. Trofei a non finire con il suo club, Palloni d’Oro a cascate. Ma tutto ciò adesso non conta. Bisogna segnare, se si vuole entrare nell’Olimpo degli Dèi del Pallone. La colonna sonora si fa incalzante, in un crescendo il cui momento clou  vuole coincidere con la battuta di questa punizione. Lionel prende la sfera tra le mani e la sistema sul punto di battuta. Attende che l’arbitro finisca il suo graffiti con la schiuma. Prende una breve rincorsa, per poter battere. Quindi alza lo sguardo.

 E qui la musica si ferma. Perché Lionel, all’improvviso, si rende conto di essere lontano.

Lontano dalla porta, che adesso sembra piccola e inviolabile come non mai. Ma soprattutto, lontano dalla leggenda. “Sì, potrebbe segnare, ma non è mica Maradona” questo è il pensiero di molti spettatori scettici. Altri, invece, ci credono. Se è Lionel il protagonista, il regista non avrà certo deciso di fargli perdere la più grande occasione della sua vita. Se questo è il suo film, sarà questo il momento in cui sconfigge il male, tirando fuori i suoi superpoteri e lasciando tutti a bocca aperta. Sarà adesso che scriverà la storia, insaccando ancora una volta da venti metri, riaprendo la partita, portandola ai rigori, e magari vincendola con il tiro dal dischetto decisivo battuto proprio da lui. Sarà così che alzerà la Coppa tanto agognata. “E allora osserviamo - si dicono gli intrepidi spettatori - che cosa inventerà la Pulce questa volta”. Ma la verità è che Lionel non ci crede più. E il suo film non ha un lieto fine. Questo gli spettatori non lo sanno. Non lo immaginano neanche. Il loro idolo che si spegne di fronte all’ultimo ostacolo? Lui, che ha vinto l’inimmaginabile? Impossibile.

E invece Lionel calcia la sfera, ma questa prende la tangente della traiettoria desiderata, spegnendosi lontana. La osserva schizzare via, accompagnata dal sospiro di sollievo di metà stadio. Voilà, come dice lo spot di quella macchina francese. L’ultima occasione è andata via. Lionel realizza subito che per lui questa finale è andata. Non ce l’ha fatta. Questo calcio piazzato sbagliato è la metafora dell’intera finale di Messi. Per niente decisivo. Eppure, aveva iniziato alla grande, questo Mondiale. Goal a raffica alla fase a gironi. Splendida la perla al 93’ che aveva deciso la sfida con l’Iran. Con tutte queste emozionanti prestazioni del protagonista, il sapiente regista di questa pellicola aveva saputo catturare l’attenzione dei suoi spettatori: occhio, che questo può essere davvero il suo Mondiale. E la gente ha iniziato a crederci davvero. Ma il finale è stato dei più anonimi. Una finale, per carità, giocata contro una squadra terribilmente forte. Ma è chiaro che Messi abbia toppato. Tanta, troppa paura di sbagliare.


E ora che la palla è volata via, il regista ci regala un ultimo primo piano. Lionel guarda il cielo, con un sorriso beffardo, forse chiedendosi se mai riuscirà ad arrivare sul tetto del Mondo.


sabato 12 luglio 2014

IL TRACOLLO DI UNA NAZIONALE

7 a 1. Un massacro, una mattanza, un tiro a segno, un bombardamento, un raid, un'inesorabile marcia sulle macerie di una squadra dai nervi a pezzi. Ecco tanti modi utili per definire quella che è semplicemente la più clamorosa partita della storia dei Mondiali. Ciò che è andato in scena a Belo Horizonte ha le dimensioni di dieci Maracanaço messi assieme.

Gli uomini dello Zio Filippone erano sull'orlo di una crisi di nervi da troppo tempo. Avevano perso i due perni portanti della squadra, uno in maniera cruenta (Neymar, quasi paralizzato da Zuniga), uno in modo stupido (Thiago Silva, squalificato dopo un giallo più che evitabile). E sono giunti lì, in semifinale, smarriti. Il loro capitano li ha seguiti in campo, durante il riscaldamento, ma poi è dovuto salire in tribuna. Proprio come un papà al primo giorno di scuola, che accompagna i propri figli e poi se ne va, lasciandoli soli, in mezzo a tanti bambini sconosciuti, ignaro che questi possano prendersi gioco dei suoi pargoletti, troppo timidi e indifesi. Prima di iniziare a giocare, a dire il vero, non sembrano poi così cattivi, questi nuovi compagni di giochi dalla maglia rossonera, mai incontrati prima. Anzi, sono i pargoletti Verdeoro ad essere trascinati dal loro popolo, che canta con loro, a squarciagola, quasi per esorcizzare la paura di perdere. E allora i ragazzini in maglia gialla quasi gonfiano il petto, si sentono forti, pur sapendo di non esserlo. Quando si inizia a giocare con quegli altri, però, tornano preda delle loro insicurezze. Molto presto, l'equilibrio si rompe. Dopo 11 minuti, ecco che il ragazzino col 13 dietro le spalle, Thomas, gioca il primo scherzetto ai bimbi Verdeoro. Insacca di piatto su schema da calcio d'angolo perfetto, eludendo la marcatura (blanda) di David Luiz. Compiuta la marachella, il discolo festeggia compiaciuto, i suoi amichetti lo circondano festanti. È in questo momento che la mente dei pargoletti Verdeoro si offusca, sale il nodo alla gola, sale anche la voglia di tornare a casa. Si guardano intorno spaesati, per cercare lo sguardo confortante del loro papà che ovviamente non c'è. Tornerà solo al suono della campanella, e, fino a quel momento, i bimbi Verdeoro saranno soli. Dall'altro lato del campetto, i bulletti dalla maglia rossonera sono decisi a non fermarsi. Ne fanno un' altra delle loro, al 23'. E un'altra, e un'altra ancora. Non si fermano più. Dopo mezz'ora il punteggio dice 5 a 0. Ci sembra di vederli, nel kindergarden: una spinta, uno sgambetto, tutti in girotondo a cantare canzoncine di scherno, mentre i bimbi Verdeoro sono a terra, nella polvere, oramai sul punto di piangere. E il loro maestro? Filippone non sa che pensare. Ha capito che qualcosa non stia andando per il verso giusto, ma può farci davvero poco. Sul 7 a 0, sembra di leggergli nel pensiero: "i baffi li tolgo, i capelli li taglio tutti, un volo last-minute per Aruba e sono salvo. Forse". La partita finisce sul 7 a 1. Qualcosa di molto vicino al surreale. I bulletti tedeschi sono contenti, festeggiano tutti inseme. Loro possono continuare a giocare, andranno tutti assieme in quel parco giochi di Rio, per cercare di vincere quella Coppa sempre accarezzata ma mai conquistata in questo secolo. E i pargoletti in maglia gialla? Per loro, finalmente, l'incubo è finito. Tanti piangono, non ci vogliono giocare più con quei monellacci, dispettosi e senza pietà. 

Le lacrime sono di quelle liberatorie. Troppe le paure accumulate in questi giorni, troppe le aspettative. In fondo, era una Nazionale normale, non erano i veri favoriti. Sin dall'esordio, i nervi a fior di pelle avevano giocato brutti scherzi ai Verdeoro. Per 71 minuti, stavano pareggiando contro la Croazia. Troppo poco, per il popolo brasiliano. Grazie anche ad un folkloristico arbitro giapponese, tuttavia, quella partita l'avevano portata a casa. Ma con il Messico non è girato nulla per il verso giusto. 0 a 0. Tutto qui? E dov'è il Brasile che deve conquistare la sesta stella? Sia giocatori che tifosi erano perfettamente consapevoli che il gioco dei Verdeoro fosse troppo povero per essere vero. In ogni caso, in un modo o nell'altro, questa sorta di armata Brancaleone travestita da favorita era arrivata in semifinale. Ma negli incontri decisivi, chi è sfavorito non riesce mai ad averla vinta, ogni squadra viene messa di fronte alle proprie forze. E il Brasile ne aveva davvero poche, sia fisiche che mentali.

I bimbi in maglia gialla, suonata la campanella, aspettano l'arrivo dell'unica figura che in quel momento possa dar loro un po' di conforto. Papà è tornato, finalmente. Vorrebbe abbracciarseli tutti, ma non può far altro che asciugare le lacrime di qualcuno di loro, consolandoli in qualche modo. In fondo, sa che è solo questione di tempo. Dimenticheranno questa giornataccia, prima o poi. E torneranno a giocare per divertirsi.



domenica 6 luglio 2014

SEMIFINALI, TRA GIOIE E DOLORI

Fuori tutte le sorprese, tra le prime quattro c'è solo spazio per le vere grandi: Brasile, Germania, Argentina e Olanda strappano il biglietto per le semifinali. Così come gli ottavi, quindi, anche i quarti non lasciano alle loro spalle vittime illustri. A dire il vero, una vittima illustre c'è eccome, per la disperazione dei tifosi Verdeoro: Neymar, costretto ad almeno un mese di stop dopo essersi rotto una vertebra.

"O Ney" lascia una Selecao che non convince ancora. Contro la Colombia, dopo aver acquisito il vantaggio a pochi minuti dall'inizio, il Brasile è riuscito a gestire il vantaggio giocando un buon primo tempo: tante buone occasioni per raddoppiare e Cafeteros pressocchè assenti nella metà campo altrui. Nella ripresa, gli uomini di Pekerman (alla sua prima sconfitta ad un Mondiale dopo 9 partite) hanno ritrovato la fiducia nei propri mezzi necessaria per rincorrere il pareggio. Tanta imprecisione là davanti, però, ha vanificato ogni tentativo. Cinico come non mai, alla prima occasione utile, il Brasile ha raddoppiato, sfruttando una punizione da distanza siderale di David Luiz. Solo il 2 a 0 e qualche innesto dalla panchina hanno riacceso gli animi della Colombia, ma troppo tardi. Il rigore di James (leggasi "hàmes", finalmente è stato chiarito l'arcano) Rodriguez serve solo ad arricchire lo score del capocannoniere del Mondiale, che può seriamente sperare di rimanere tale fino alla fine nonostante l'eliminazione, grazie al bottino di sei goal. L'assenza di Neymar priva Scolari di un elemento capace di risolvere una partita da solo. Ma, ad essere sinceri, Felipao dovrebbe preoccuparsi di pù per l'assenza per diffida di Thiago Silva. Questo Brasile aveva costruito la sua forza e il suo intero cammino al Mondiale sulla solidità difensiva; perdere il pilastro portante della retroguardia è davvero un gran pericolo.

Sarà molto dura per i Verdeoro, soprattutto perchè di fronte avranno una delle corazzate più solide di questo Mondiale. La Germania ha fatto fuori la Francia con la stessa freddezza di un assassino: ha segnato dalla prima palla inattiva capitatale, per poi nascondersi, attendendo l'occasione giusta per far male in contropiede (e riuscendo a sprecare l'incredibile con Schurrle). I Transalpini, da parte loro, hanno visto svanire quella concretezza sotto porta che tanto aveva sorpreso nelle partite precedenti. Quelle poche volte in cui sono riusciti a districarsi dalle strette marcature avversarie (come all' 89'), sono impattati contro uno dei portieri dalla forma migliore al mondo, Manuel Neuer da Gelsenkirchen. Questa Germania parte favorita per lo scontro con i Verdeoro, ma le componenti in gioco sono tante ed ogni gara è una storia a sè.

Se Brasile-Germania sembra segnata, alla luce delle difficoltà dell'una e dell'entusiasmo dell'altra, Olanda-Argentina sarà battaglia aperta a qualsiasi esito. L'Argentina, quasi percorrendo un percorso parallelo a quello del Brasile, non riesce ancora a convincere al cento per cento. Fatica tanto quando imposta e soffre le percussioni centrali. Per battere il Belgio ci voleva Higuain, finalmente svegliatosi dal letargo in cui era caduto. La sua rete può essere un ottimo esempio per spiegare cosa sia il tanto decantato senso del goal, che ti permette di segnare senza neanche guardare la porta (ma a che serve guardarla, quando il tuo senso del goal ti da la certezza che quel tiro entrerà?). I cambi di Wilmots stavolta non hanno funzionato; forse, anticipandoli di qualche minuto, avrebbero avuto un effetto diverso. 

A sfidare la Seleccion ci sarà l'olanda, alla sua seconda semifinale consecutiva. Laddove tutti i quarti di finale giocati fino a ieri sera si erano decisi entro i 90 minuti, Tulipani e Ticos sono arrivati ai rigori. Ma quante occasioni per l'Olanda, che è tornata ad attaccare come meglio sa fare. Pali, traverse e un Navas che non si è smentito hanno fermato gli Oranje, che storicamente sono incredibilmente sfortunati dai tiri dal dischetto (e noi ne sappiamo qualcosa). Ma questa volta è stato l'imbucato alla festa Krul a rivelarsi decisivo, che con due parate su Ruiz e Umana ha consegnato la vittoria ai suoi. Sostituendo Cillessen a due minuti prima della fine, Van Gaal ha sorpreso tutti, prendendosi i suoi rischi: inutile dire che, se l'Olanda avesse perso, tutti avrebbero accusato il CT di essere fin troppo spregiudicato.

Due semifinali, quelle di martedì e mercoledì, dall'esito incerto. I valori in campo saranno pressocchè uguali. Resterà da vedere quale stile di gioco verrà premiato, se la sfrontatezza dell'Olanda o l'ordine dell'Argentina, se la concretezza della Germania o il Brasile trascinato dal suo popolo. Ciò che è certo è che il meglio deve ancora venire.



venerdì 4 luglio 2014

MONDIALE: TU CHIAMALE, SE VUOI, EMOZIONI

Gli ottavi di finale del Mondiale non hannno deluso le aspettative, regalandoci tante emozioni e tenendoci incollati davanti agli schermi fino al novantesimo. Ad essere precisi, fino al centoventesimo, dato che ben 5 ottavi di fnale su 8 sono stati decisi dall'extra time. A conti fatti, però, le sorprese sono diminuite rispetto alla fase a gironi. Praticamente tutti gli ottavi hanno rispettato i pronostici della vigilia, e tutte le grandi sono approdate ai quarti. Ma per loro, ad onor del vero, non sempre le cose sono andate per il verso giusto.

Partiamo dal Brasile, che proprio non riesce a giocare bene. Contro il Cile, gli unici pericoli sono nati da iniziative personali di Neymar o Hulk; non un'azione degna di nota che coinvolgesse più di due giocatori. Anche grazie a Nomen Omen Bravo, il Cile ha sfiorato l'impresa epocale, difendendo con solidità e seminando il panico con attacchi fulminei. I legni e un Julio Cesar in stato di grazia hanno trascinato la Selecao ai quarti. Le lacrime di molti Verdeoro a fine gara, a partire dal capitano Thiago Silva, sono la cartina al tornasole della grande pressione che gli uomini di Scolari percepiscono dal primo giorno di questo Mondiale. Un altro insuccesso casalingo non è minimamente da prendere in considerazione per la maggior parte dei tifosi e dei giocatori brasiliani. 

Chi, invece, agli ottavi ci arriva con il morale alle stelle e senza nulla da perdere è la Colombia. James ("gèims" o "hàmes" non si è ancora capito) Rodriguez Show e Uruguay spazzato via. La doppietta del campioncino del Monaco, impreziosita da quello che è il più bel goal dei Mondiali fino ad ora, non deve ingannare: alle spalle di questo fuoriclasse c'è un gruppo solidissimo. E tutti i discorsi sul campionato italiano vecchio e decrepito, non più meta di campioni ma cimitero di elefanti, perdono di senso quando scopri che buona parte dei giocatori Colombiani gioca proprio in Italia.

Tuttavia, questi Mondiali hanno confermato come le squadre che approdino agli ottavi inizino una vera e propria coppa a parte, stravolgendo il loro atteggiamento tecnico-tattico. L'Olanda, che tanto aveva incantato contro la Spagna e bene interpretava uno stile di gioco devoto all'attacco, ha schierato una difesa a cinque (!) per salvare la pelle contro un Messico che non meritava una fine così ingloriosa. La Grecia, da sempre una delle più arcigne interpreti deI catenaccio, si è trovata a dover attaccare a spron battuto contro un Costa Rica in dieci. Per quanto riguarda i Tulipani, il doppio miracolo Sneijder-Huntelaar negli ultimi sei minuti ha completamente ribaltato l'esito di una partita che, fino al 84', stava premiando la squadra che aveva giocato meglio. Applausi comunque per i centroamericani. Gli altri centroamericani, i Ticos di Pinto, continuano a sognare grazie al loro strepitoso portiere, El Gato Navas, che para il rigore finale di Gekas.

A fronte di squadre che tanto hanno cambiato in questi ottavi, ci sono nazionali che sono rimaste fedeli al loro credo calcistico dalla prima partita di questi Mondiali. Una di queste è senza dubbio la Germania, che ha abbracciato il falso nueve (con successo), dopo una gloriosa dinastia di panzer, con Klose ultimo rappresentante. Ma, nonostante la tattica sempre solida che ha vacillato poco durante la fase a gironi, gli undici di Low hanno davvero sofferto con l'Algeria, costretti ai supplementari dopo una partita tesa. Il 2 a 1 finale rende merito ad una squadra come l'Algeria, capace di interpretare al meglio il ruolo di outsider e rimanendo in vita fino alla fine. Se la Germania ha sofferto, la Francia ha passeggiato sulla Nigeria, grazie alla concretezza dei suoi uomini chiave, uno su tutti Pogba. Nessuna Africana agli ottavi quindi; nessuna delle nazionali del continente nero è riuscita a ribadire l'ottimo risultato del Ghana di quattro anni fa.

Delle grandi che hanno sofferto, è l'Argentina quella che ha avuto vita peggiore. Una Svizzera piena di giovani talenti ha resistito 118 minuti, e se fosse arrivata ai rigori forse sarebbe riuscita a compiere un'impresa storica. Di Maria ha tolto le castagne dal fuoco sfruttando un assist del solito Messi. Già, Messi: disinnescato lui, l'intera Albiceleste smette di girare. Triplicare la marcatura su di lui non sarà stato così esteticamente piacevole, ma sicuramente efficace. Sabella dovrebbe essere capace di sfruttare un po' di più del potenziale di una nazionale dal parco attaccanti davvero invidiabile.

Chi può essere quindi la vera sorpresa di questi quarti di finale che si apprestano ad iniziare oggi? Il Belgio ha tutte le caratteristiche per esserlo, grazie anche ad un allenatore come Wilmots capace davvero di azzeccare qualsiasi cambio. Anche con gli Stati Uniti, è stato un giocatore entrato dalla panchina a fare la differenza per i Diavoli Rossi: stavolta è stato Romelu Lukaku, lasciato in panchina a favore di quel Divock Origi che aveva deciso il match dei gironi con la Russia (guardacaso, subentrando proprio a Lukaku). Delle possibili avversarie, al Belgio è sicuramente capitata quella con meno sicurezza nei propri mezzi.

E quindi la Coppa del Mondo si avvicina all'epilogo, regalandoci ogni giorno una storia diversa. E ce ne sarebbero tante da raccontare di storie, che vanno al di là del terreno di gioco. C'è un portiere, Tim Howard, che da ragazzo ha dovuto sconfiggere la sindrome di Tourette, e ora realizza il record di maggior numero di parate in una partita in un Mondiale. C'è un'intera squadra (la Grecia) che rinuncia ai premi in soldi della FIFA semplicemente perchè, se qualcuno se lo fosse dimenticato, basta l'orgoglio di rappresentare la propria patria per sentirsi appagati, e ce n'è un'altra (l'Algeria) che i premi li devolve a chi ne ha più bisogno. Tante storie diverse che rendono questo sport speciale.

Ma in fondo, che Coppa del Mondo sarebbe senza le sue favole?

 

mercoledì 25 giugno 2014

I PERCHÈ DI UNA SCONFITTA

Per la seconda volta consecutiva siamo fuori dal Mondiale. La sconfitta con l'Uruguay lascia davvero grande rammarico, per una Nazionale che aveva iniziato nel migliore dei modi il suo cammino in Brasile. È stato un insieme di fattori a determinare la sconfitta degli Azzurri, che ha avuto come conseguenza immediata le dimissioni del CT Prandelli e del presidente della FIGC Abete.

Eppure, l'Italia non aveva sbagliato approccio alla gara, ieri a Natal. La squadra è partita con un baricentro basso, cercando di anticipare subito le punte della Celeste su ogni suggerimento rasoterra. La manovra offensiva poggiava sulle spalle di Immobile e Balotelli; i due cercavano di dialogare con quei (pochi) palloni che giungevano dalle loro parti. È stata infatti il lancio lungo la nostra arma principale dei primi 20 minuti. Ma, un po' per gli anticipi dei centrali difensivi avversari, un po' per l'imprecisione nel primo controllo, il tandem d'attacco non ha prodotto granchè. Supermario, nei 45 minuti a sua disposizione, ha compiuto in parte il suo dovere. Bravo a difendere palla e a far risalire la squadra in un paio di circostanze, non è riuscito a mantenere la lucidità necessaria per finalizzare le poche azioni d'attacco capitate tra i suoi piedi. Come se non bastasse, il giallo al 22' ha compromesso la sua partita: un Balotelli ammonito così presto non può rimanere a lungo in campo. Nel secondo tempo, la musica era sul punto di cambiare. L'innesto di Parolo garantiva un minimo di continuità tra centrocampo ed attacco, con Immobile che, rimasto unica punta, aveva più campo per muoversi in profondità. Tutto questo fino al 59', quando l'arbitro Rodriguez estrae un rosso generoso ai danni di Marchisio, entrato a protezione della palla su Arevalo Rios. In dieci, la partità si è inevitabilmente trasformata in un assedio dell'Uruguay nella metà campo tricolore. Con l'uomo in meno, l'Italia ha giocato come avrebbe dovuto giocare: difesa ordinata e ripartenze veloci ad innescare Immobile. Sia lui che Verratti, però, hanno dovuto lasciare il campo prima del fischio finale per guai fisici. Dopo che l'Urugay aveva anche sfiorato il vantaggio con un tiro di prima intenzione di Suarez deviato da un intervento straordinario di Buffon, l'epilogo tragico è giunto a nove minuti dalla fine, proprio quando sembrava che gli Azzurri fossero riusciti nell'impresa di strappare il biglietto per gli ottavi. Su calcio d'angolo, il solito Godin insacca di testa (terzo gol in tre partite decisive per lui, dopo la zuccata a Barcellona che è valsa la Liga e il gollonzo in finale di Champions che ha illuso i suoi Colchoneros) e la difesa nulla può. Negli ultimi minuti di gioco, l'Italia cerca di buttare il cuore oltre l'ostacolo, ma c'è solo tanta buona volontà e pochissima forza in corpo. 

È un'eliminazione strana, quella scaturita ieri. Molti parlano di fallimento, ma a dire il vero la nostra eliminazione è in parte giustificabile. In un girone di ferro come il nostro, il passaggio del turno non era così scontato. L'exploit del Costarica ha scombinato le carte in tavola, riservando un solo posto agli ottavi per Uruguay, Inghilterra e Italia. Arrivati con soli tre punti all'appuntamento di ieri, il match si è trasformato in uno spareggio da dentro o fuori, che gli uomini di Prandelli non avrebbero mai immaginato di dover giocare dopo la strabiliante prova di Manaus. Ed era proprio lo spirito a non essere quello giusto. Dopo aver perso con il Costarica, la Nazionale ha perso fiducia nei propri mezzi proprio nel momento in cui, battendo l'Inghilterra, era l'Uruguay ad acquistare sicurezza. A risentire di più di questo momento negativo sono stati proprio Immobile e Balotelli. Quest'ultimo sentiva forte la responsabilità di aver sbagliato troppo contro il Costarica, mentre il suo compagno di reparto era in panchina, in attesa del suo momento. Momento che è arrivato nelle circostanze sbagliate. Sarà stato anche capocannoniere, ma per Immobile quella di ieri era la vera prima partita da dentro o fuori in una competizione che conta, e in circostanze simili non si può giocare serenamente. Ci si aspettava sicuramente di più da parte loro e dei tanti giocatori di qualità su cui Prandelli aveva puntato. I veterani del gruppo, a fine partita, hanno reso chiaro il loro disappunto verso le giovani leve che hanno disatteso le aspettative. Tra tutti i giovani scesi in campo in queste tre partite di Mondiale, l'unico a non risentire della pressione è stato (guardacaso) Marco Verratti, che pur essendo più giovane di Immobile, ha già giocato 17 partite in Champions League con il suo PSG. Chissà se, prima o poi, anche le squadre italiane inizieranno a credere nei giovani, per farli diventare campioni di spessore una volta per tutte, evitando che questi arrivino ai momenti decisivi ancora impreparati. Speranza vana, forse.

E quindi la domanda sorge spontanea: da dove ripartire? O meglio: da chi? In quanto a "materiale umano", non c'è da essere pessimisti: le risorse non mancano. Per il successore di Prandelli, i nomi che si alterneranno in questi giorni saranno tanti. La speranza è che, chiunque egli sia, il prossimo CT focalizzi bene chi siano i giocatori da cui ripartire, infondendo stimoli nuovi ai reduci di questa spedizione sfortunata e, perchè no, diffidando di color che non hanno convinto.




P.S.
R.I.P. Ciro

martedì 24 giugno 2014

SI PUÓ FARE, AZZURRI

La sconfitta con il Costarica ha smorzato gli animi in casa Italia. Era inevitabile che quell'ondata di entusiasmo seguente il successo contro l'Inghilterra fosse stroncata dall'ennesimo risultato a sorpresa di questo Mondiale. Al netto delle occasioni di gioco create, l'Italia è stata poco concreta sotto porta, sempre se di sotto porta si può parlare, dato che entrare nell'area Costaricana palla al piede sembrava un sogno per gli Azzurri, lenti e poco reattivi. Ma non tutto è perduto.

Ad essere sinceri, tuttavia, se l'Italia ha perso è anche per i meriti di una delle squadre più in forma di questo Mondiale, ovvero il Costarica di Pinto. Il tecnico colombiano ha impostato alla perfezione la sfida contro Prandelli: centrocampo affollato, difesa ordinata, linee di passaggio chiuse per Pirlo e compagni. Il demerito più grande dell'Italia è stato sicuramente l'aver sbagliato approccio alla gara. Sarà stato per l'ottimismo travolgente, sarà stato per il caldo, ma gli Azzurri hanno lasciato la testa da qualche altra parte. Ma ciò che sicuramente ha lasciato tutti di stucco è stato il terribile crollo fisico della squadra, che dopo i primi 45 minuti non è stata più capace di imbastire un'azione di gioco con lucidità. Il lavoro meticoloso del ritiro pre-Mondiale sembrava aver dato i suoi frutti a Manaus, e invece a Recife c'è stato un tracollo generale. Giocare alle 6 del pomeriggio in Amazzonia non è come giocare all'una sulla costa atlantica. Prandelli si è affidato agli innesti dalla panchina per provare a dare la scossa, arrivando a schierare ben quattro attaccanti contemporaneamente (Cassano, Insigne, Balotelli e Cerci), ma nessuno di questi aveva le gambe e la concentrazione giusta per incidere. Dei quattro, forse l'esterno granata è stato quello più volenteroso, avendo cercato più volte l'uno contro uno, salvo poi impattare contro il difensore di turno. Lasciare Pirlo e De Rossi (tra l'altro malconcio, salterà il match di oggi) abbandonati a loro stessi a centrocampo non si è rivelata una scelta felice. Era lecito sbilanciarsi per rincorrere il pareggio, ma un esterno in meno e un mediano in più (Parolo?) non avrebbe fatto male. Ma è inutile contestare le scelte del CT a bocce ferme e a mente lucida; quando le scelte bisogna prenderle a partita in corso, non è mai facile trovare le soluzioni giuste.

Mettersi alle spalle la brutta prova di Recife non sarà stato facile per il gruppo di Prandelli, ma ciò che è sicuro è che oggi, a Natal, l'Italia darà tutto per passare il turno. Chissà se riproporre la difesa juventina possa restituire solidità al reparto arretrato, puntando sull'intesa più che collaudata tra Barzagli, Bonucci e Chiellini (tre nomi che suonano come una filastrocca per molti tifosi bianconeri). Verratti merita una chance dal primo minuto. Immobile e Balotelli potrebbero calpestarsi i piedi a vicenda, ma se Prandelli adotterà questa soluzione, avrà analizzato attentamente i comportamenti dei due attaccanti in allenamento. C'è da fidarsi, insomma. Farà la differenza anche la determinazione di Pirlo, che, avendo annunciato il suo ritiro dalla Nazionale a fine Mondiale, non vuole chiudere la sua carriera in Azzurro con un altro fallimento, dopo quello di quattro anni fa.

E allora crediamoci, perchè questa Nazionale ha il terribile vizio di riuscire a tirare il meglio di sè solo ad un passo dalla morte. Crediamoci, perchè la sconfitta di Recife è solo un passo falso, non è il sintomo di un crollo totale. Crediamoci, perchè questa Nazionale sa come si vincono le partite decisive. Questo gruppo ne ha già passate tante, ha rischiato di uscire al primo turno anche all'Europeo di due anni fa, ma non si è mai data per vinta e ci ha creduto fino all'ultimo momento in cui le sue chances fossero intatte. Ma soprattutto, la nostra Nazionale ha un gene del proprio DNA, che le permette di trasformarsi quandi si deve fare sul serio. Un meccanismo che non si può spiegare, ma che ogni tifoso percepisce chiaramente. Una molla che scatta nel momento in cui l'avversario gonfia il petto, e la Nazionale sembra piccola piccola, posta dinnanzi alle stelle avversarie e alle difese rocciose altrui. È in questi momenti che l'Italia diventa la squadra che gira a meraviglia e che ci fa sognare. E quindi forza Azzurri, per continuare a sognare.




domenica 15 giugno 2014

ITALIA BATTE INGHILTERRA: BUONA LA PRIMA

La Nazionale centra la vittoria all'esordio del Mondiale, battendo (ancora una volta) l'Inghilterra di Hodgson, nella sauna di Manaus. I giornali inglesi l'avevano bollata come "la lotta nella giungla", e battaglia é stata: una partita spumeggiante, che dopo un inizio in sordina ha regalato tanti brividi ed emozioni, con occasioni da una parte e dall'altra fino all'ultimo minuto di gioco. 

Il primo vero protagonista del match é stato senza dubbio il caldo asfissiante, che ha impedito alle due squadre di alzare il ritmo per almeno la prima mezz'ora. Fino a quando non si sono rotti gli equilibri, é prevalso il blando possesso palla degli Azzurri, che si limitavano a far girare palla intorno alla trequarti avversaria. Alle temperature elevate, del resto, si é ben presto aggiunto l'atteggiamento guardingo degli uomini di Hodgson, che hanno difeso la loro metà campo con molto ordine. Attaccare la profondità, del resto, risulta difficile quando si ha a disposizione un solo terzino naturale: la scelta di Chiellini esterno nella difesa a quattro ha di fatto inibito la spinta offensiva sull'out sinistro.

Tutto questo fino alla rete che ha sbloccato il risultato, frutto di uno schema perfetto da calcio d'angolo. Marchisio ne ha segnati pochi, di goal in Nazionale, ma quello di ieri é senza dubbio uno dei più pesanti. Il suo tiro da fuori area ha acceso i ritmi della partita. E, paradossalmente, il pareggio degli Inglesi é arrivato su una manovra di contropiede, a dimostrazione che nei minuti immediatamente successivi l'1 a 0 era ancora l'Italia a fare la partita. Sulla fascia destra, colpevolmente lasciata libera da Darmian, Rooney ha aggredito la profondità ed ha servito un cross al bacio per Sturridge, dimenticato da Paletta, che ha solo dovuto depositare in rete. Il pareggio non ha tagliato le gambe agli Azzurri, che hanno chiuso il primo tempo proiettati in avanti e sfiorando il nuovo vantaggio con due fiammate di Balotelli (provare un pallonetto da posizione impossibile e con una calma ciclopica é roba per pochi) e Candreva.

Il vantaggio Azzurro nella ripresa é nato da una percussione sulla fascia destra, con Candreva abile a confezionare un cross al bacio per Balotelli che di testa ha in filato Hart, siglando il suo primo goal in un Mondiale all'esordio assoluto nella competizione. Segnato il due a uno, l'Italia si é difesa con ogni mezzo,ma le occasioni per gli Inglesi non sono mancate. Calci piazzati e manovre dei trequartisti hanno creato i maggiori problemi alla retroguardia, che anche grazie ad un Sirigu in stato di grazia ha evitato il peggio. Tuttavia, non sono mancate le ripartenze di marchio Azzurro: Candreva e Darmian hanno lasciato terra bruciata alle loro spalle, garantendo una spinta costante per quasi tutti i novanta minuti. Impossibile non rimanere a bocca aperta davanti al calcio di punizione di Pirlo negli ultimi minuti di gioco: il genio barbuto si prende gioco delle leggi della fisica, o forse é proprio perché le conosce fin troppo bene che sforna una magia che si stampa sulla traversa. E il genio non può disperarsi; tuttalpiù rimane perplesso, cercando di capire come migliorare ancora, mentre noi comuni mortali rimaniamo estasiati. 

Al fischio finale, le certezze sono due. La prima é che la preparazione atletica dei ragazzi di Prandelli é stata pregevole: sarà anche mancata un po' di lucidità nell'ultimo quarto d'ora, ma mentre ben tre avversari sono stati colti dai crampi, i nostri non hanno fatto una piega fino alla fine del match. La seconda pietra su cui costruire un buon Mondiale é la voglia di stupire di tanti giocatori, Balotelli su tutti, che li priva delle insicurezze e li riempie di coraggio. E poi come dimenticare la determinazione di Darmian, la calma e la deduzione di Pirlo e Verratti. Come riesce facile agli Azzurri, si è creato un gruppo formato da tanti brillanti operai, capaci di capire quando bisogna abbassare la testa per lavorare per il collettivo e quando invece bisogna dare sfogo alle proprie qualità.

In definitiva, la strada é quella giusta, e Prandelli ne è consapevole. Appuntamento a Recife, per conquistare la qualificazione contro una Costa Rica di cui é meglio non fidarsi.


sabato 14 giugno 2014

FINALMENTE MONDIALE

E quindi il Mondiale è iniziato, tra le proteste del popolo Brasiliano (che vanno molto più al di là del calcio) e della Croazia, derubata nella partita inaugurale. Se la vittoria dei Verdeoro é viziata dall'arbitraggio a senso unico, quella dell'Olanda é stata un indiscusso trionfo, che compromette seriamente il cammino della Spagna campione del Mondo in carica. Grandi emozioni in ogni caso, che solo un Mondiale sa regalare.

Brasile e Croazia hanno quindi aperto le danze, dando vita ad una partita inaspettatamente aperta. La Croazia ha attaccato di rimessa, difendendo con ordine e sfruttando le ripartenze dei suoi Olic e Jelavic. Ed era ad un passo dallo sgambetto epocale. Il volto di Marcelo, stravolto dall'ansia subito dopo aver segnato il più classico degli autogoal, descriveva alla perfezione lo stato d'animo di ogni Brasiliano, preso dall'angoscia di vivere una sorta di nuovo Maracanaço. Dopo il pareggio di Neymar la trama della partita non é cambiata, e al netto delle opportunità forse la Croazia attendista avrebbe meritato di più del Brasile sprecone. Il deus ex machina Nishimura ha trovato il modo per cambiare le carte in tavola, concedendo un rigore piuttosto generoso. Oscar ha poi messo il sigillo ad una vittoria che non può far stare sereno Scolari. Nello stesso girone, il Messico ha portato a casa i tre punti contro il Camerun. Nettamente superiore l'undici sudamericano, che ha mostrato una mgliore tenuta del campo.

Nel girone B, La sindrome da pancia piena colpisce ancora. Nelle ultime quattro edizioni della Coppa, questa compresa, per tre volte la squadra campione in carica non ha vinto all' esordio. Ma c'é modo e modo. La Francia, nel 2002, fu sconfitta dalla sorpresa Senegal; in Sudafrica, l'Italia pareggiò mestamente contro il Paraguay; la Spagna, ieri, é letteralmente crollata sotto i colpi di un'Olanda assetata di vendetta. Era anche passata in vantaggio, grazie ad un rigore di Xabi Alonso guadagnato dal fischiatissimo Diego Costa (reo di aver tradito il suo Brasile). Ma il pregevole pareggio di Van Persie era solo il preludio di un capolavoro a tinte arancio. Ciò che é mancato alle Furie Rosse é stata la mentalità, e l'errore lezioso di Casillas ne é la dimostrazione palese. Supponenza? Presunzione? Niente di tutto questo. Semplicemente, mancanza di stimoli. La sensazione é che Del Bosque, come Lippi quattro anni fa, abbia scelto i titolari più basandosi sulla riconoscenza che non sull'effettiva carica emotiva.  Gente come Koke, Juanfran, Santi Cazorla e Javi Martinez forse meriterebbe più di una chance.  Il Cile venderà cara la pelle nel prossimo match che si trasforma in un vero e proprio dentro o fuori per la Spagna. Gli stessi Sudamericani, nel loro esordio contro l'Australia, hanno dato dimostrazioni di una forma fisica smagliante e di grande qualità in mezzo al campo.

La domanda sorge spontanea: ma se la Spagna stecca così, allora chi è la vera favorita di questo Mondiale? È presto per dirlo, certo, ma, spodestata la Spagna dal ruolo di favorita, sembra davvero che nessuna delle Nazionali che si giocano la vittoria possa considerarsi nettamente superiore alle altre. Ancora tante squadre devono esordire in questa Coppa del Mondo, e saranno il tempo ed il campo a fornirci indizi più precisi.

Goal spettacolari, polemiche infuocate, exploit imprevedibili. In soli due giorni di Mondiale é già successo di tutto. Non aspettavo altro.

lunedì 9 giugno 2014

LE MILLE RISORSE DELLA NAZIONALE DALLA DIFESA BALLERINA

Ieri notte l'Italia ha parzialmente convinto, vincendo il test match con la Fluminense per 5 a 3. Immobile ed Insigne danno spettacolo, ma ancora una volta la difesa non è tanto lucida quanto dovrebbe.

Prandelli ha dato tanto spazio a tutti coloro che avevano visto poco il campo contro Irlanda e Lussemburgo. Tra questi, sicuramente Insigne è colui che ha beneficiato di più dell'occasione concessagli. E il CT ha trovato una combinazione perfetta, schierandolo a supporto dell'unica punta Immobile, con Cerci a completare il tridente. Cerci e Insigne: due giocatori che conoscono a memoria i movimenti della punta di Torre Annunziata, e sanno come servirlo a dovere, visto che entrambi hanno giocato in squadra con Immobile per una stagione intera (il primo quest'anno,formando la coppia goal più prolifica della serie A; il secondo nella stagione 2011/12, nello strabiliante Pescara di Zeman). Del tridente di ieri, Immobile impressiona per quanto sia tecnicamente completo: un goal di testa, con uno stacco imperioso ad anticipare il diretto marcatore; un goal da rapace d'area, avventandosi per primo sulla corta respinta dell'estremo difensore; un goal da attaccante puro, abile a dettare il passaggio con un taglio in profondità sul filo del fuorigioco, rimanendo lucido davanti al portiere, trafiggendolo di esterno. E come se non bastasse, oltre ad essere un realizzatore cinico sa anche essere altruista, servendo due assist al compagno Insigne tanto semplici quanto poco scontati (quanti altri attaccanti avrebbero passato la palla, trovandosi a tu per tu col portiere?).

Ma se l'attacco fa ben sperare, è ancora una volta la difesa che angoscia il CT. Sui goal subiti si sente forte la stanchezza della preparazione (la papera di Perin è parzialmente perdonabile, ma il portierino del grifone farebbe bene a tenersi pronto per evitare un Marchetti-bis, vedi Sudafrica 2010). Ranocchia e Paletta hanno concesso troppa libertà di manovra agli attaccanti della Fluminense. L'intero pacchetto di difensori centrali deve necessariamente ritrovare un'affidabilità che è mancata nelle ultime uscite. In ogni caso, si spera che la concentrazione da parte di tutto il reparto difensivo sia più alta quando si dovrà fare sul serio. Da evitare il più possibile le disattenzioni in fase di impostazione. Una competizione come la Coppa del Mondo si decide soprattutto dai particolari.

Al netto degli errori, le sensazioni sono positive. Vincere fa bene al morale, ed è inutile ripetere quanto sia importante per un attaccante segnare, anche se in una semplice amichevole. Il dato che conta di più è sicuramente la grande varietà di giocatori su cui Prandelli può contare. Dal centrocampo in su, abbiamo almeno un sostituto di grande qualità per ogni ruolo, e questo fa ben sperare. Se nel 2010 in Sudafrica, perso Pirlo, l'Italia perse una logica di gioco, quest'anno c'è più di un'alternativa al genio barbuto. Rimane la difesa il reparto su cui lavorare di più, ma se Prandelli riuscirà ad infondere la giusta mentalità ai centrali difensivi, scacciando le insicurezze, l'Italia potrà davvero far bene.

Tuttavia, non sono solo gli Azzurri ad aver bisogno delle amichevoli per trovare la giusta forma per il Mondiale. La partita di ieri è servita anche come preparazione per noi tifosi, in vista delle (speriamo tante) veglie notturne che ci attendono. L'inizio alle dieci e mezza italiane di ieri era solo l'antipasto del tanto atteso fischio d'inizio a mezzanotte di Manaus di Sabato prossimo. Molti sono riusciti ad arrivare al novantesimo, ma altri hanno ceduto al sonno inesorabilmente. Promossi a pieni voti i primi, rimandati a Sabato gli ultimi, che dovranno curare con maggiore attenzione il riscaldamento pre-partita: sono sconsigliate cene troppo corpose, causa inevitabile papagna. Ma sarà davvero difficile addormentarsi durante la prima partita di Sabato, che si prospetta una vera e propria battaglia.



giovedì 5 giugno 2014

UN AMORE COSÌ GRANDE: IL SOGNO COMINCIA (LUSSEMBURGO PERMETTENDO)

Oggi l'Italia è partita per il Brasile, per intraprendere l'avventura del Mondiale, ed io proverò a seguire le gesta degli Azzurri senza lasciarmi condizionare dal mio ego tifoso.

Tuttavia, le premesse per questa Coppa del Mondo sono tutt'altro che incoraggianti. Come da 20 anni a questa parte, la Nazionale non ha vinto l'ultima amichevole precedente l'inizio di una grande competizione. Il nome dell'avversaria di ieri sera (il modestissimo Lussemburgo) evoca goleade, ma nonostante ciò gli Azzurri non sono andati oltre l' 1 a 1. La sensazione é che non potesse andare diversamente. Era già lunga la serie di sfortunati eventi che aveva caratterizzato la preparazione di questo Mondiale: le amarissime polemiche nate dall'esclusione dai 23 (con tanto di tweet al veleno) di Pepito Rossi e Mattia Destro; il pareggio con la non irresistibile Irlanda; l'infortunio di Montolivo, il giocatore con più gettoni in Nazionale con Prandelli in panchina. Mancava la ciliegina sulla torta, ed eccola servita ieri a Perugia. Una bella combinazione Marchisio - Balotelli aveva portato in vantaggio gli Azzurri dopo pochi minuti. Poi, tanto possesso, nessuna fretta di attaccare (o nessuna forza, dopo l'estenuante ritiro di Coverciano?) e tanti cambi. Il pareggio lussemburghese nasce da un calcio da fermo, un po' come tanti altri gol presi dall'Italia nelle ultime gare. Gli altri 60 milioni di CT sparsi in giro per lo stivale non aspettavano altro. La frase "Rossi se lo doveva portare" diventerà un tormentone, anche grazie al pareggio di ieri.

La Nazionale che non entusiasma prima di una competizione importante, tuttavia, non è una novità. È anzi uno scenario già visto tante volte. A 9 giorni dall'inizio dell'Europeo del 2012, l'Italia cadde rovinosamente 3 a 0 sotto i colpi della Russia nell'ultimo test pre – Europeo. E se una sconfitta così non può sembrare abbastanza rovinosa, basti pensare all’impresa negativa degli Azzurri di Sacchi, che nell’Aprile del 1994 uscirono sconfitti da un’amichevole contro il Pontedera, squadra di C2 che si prestò ad un test match durante la preparazione per il Mondiale dello stesso anno. E così come tanti Azzurri in passato, anche ieri sera gli uomini di Prandelli hanno regalato un momento di gloria ai Carneadi di turno, i Leoni Rossi del Lussemburgo, capaci di uscire imbattuti contro nientepopodimeno che i vice-campioni d’Europa in carica.

Per farla breve, anche quest’anno la Nazionale non convince nessuno prima dell’inizio del Mondiale.

Ma forse è proprio perchè non gliene va una buona a questa Nazionale, che l'amore per lei è così grande (come non a caso cantano i Negramaro). Questa squadra mai perfetta, a cui va sempre tutto male, che “se vince è solo grazie al catenaccio”, piena di giocatori mezzi zoppi, di talenti inespressi, di perfetti sconosciuti, di bolliti, vituperata dai giornalisti e dagli opinionisti, riesce sempre a trovare un equilibrio perfetto quando si fa sul serio. E se magari non ha 11 palleggiatori sopraffini come la Spagna, o non ha il vero Top Player come tante nazionali che si apprestano a partire per il Brasile, questa Nazionale, per dirla con Elio, ha un cuore grande così. Per carità, la qualità c’è eccome, ma è soprattutto la passione che unisce un gruppo come quello azzurro a fare la differenza. E pazienza se il Lussemburgo ha pareggiato, pazienza se abbiamo preso due traverse, pazienza se Balotelli unica punta là davanti è forse troppo solo. L'unica cosa che conta davvero al Mondiale è l'unione di questo gruppo, che è solido anche per merito di Prandelli. E il cemento di questo gruppo è senza dubbio la passione e la voglia di far bene, che dei ragazzi come gli Azzurri possono nutrire.
 
E sarà la stessa passione a unire un paese intero davanti agli schermi, anche in orari improbabili, per sperare in un sogno non così impossibile. Appuntamento al 14 Giugno, per tifare la nazionale di calcio più scarrupata del Mondo.